QUANDO IL PONTE FU COSTRUITO PER LA PRIMA VOLTA IN MURATURA NEL 1778

Il ponte sul Mincio a Goito, oltre ad essere un punto panoramico, da cui ammirare e gustare il lento scorrere delle acque, è anche un monumento storico: si chiama infatti “Ponte della Gloria”, a ricordo delle battaglie risorgimentali del 1848, che lo hanno immortalato con sangue umano, ed il monumento al Bersagliere, posto accanto, ne tiene vivo il ricordo.

Se la gloria è stata raggiunta con quelle ammirabili imprese belliche, l’origine del ponte affonda le sue radici molto indietro nel tempo, quando la dominazione romana sul nostro territorio pensò di tenere sotto controllo questa località in cui era molto agevole guadare il Mincio e passare alla riva opposta.

Con l’arrivo e lo stanziamento in loco del popolo barbarico dei Goti, attorno all’anno 489, tale punto strategico acquistò sempre più importanza ed il ponte, allora in legno, che collegava le due sponde, divenne una preziosa struttura da salvaguardare e controllare giorno e notte.

I Gonzaga stessi durante il loro dominio fecero di Goito una strategica porta d’ingresso al loro Marchesato, di cui il ponte goitese era la chiave d’accesso, sorvegliato da guardie (per prevenire sabotaggi ed abusi) e dazieri (per riscuotere il pedaggio di transito sia per le persone che per le mercanzie del tempo).

Il ponte, fatto e rifatto moltissime volte e sempre in legno, era levatoio, almeno nella sua parte centrale, per motivi di sicurezza, e molto spesso causava problemi per la sua manutenzione. Infatti era continuamente minacciato e deteriorato dal frequente transito di carri e carrette di ogni genere, dal passaggio di soldatesche, carriaggi ed animali e dalle piene del Mincio che forzavano e marcivano i sostegni (sempre di legno); ma era minacciato anche dai furti di travi, che poveri disperati commettevano, rischiando la forca.

Scrive, ad esempio, il marchese Federico Gonzaga al vicario di Goito (noi oggi diremmo al Sindaco) in data 14 gennaio 1482: “Dilecte noster, cum non pocha displicentia (dispiacere) havemo inteso per la lettera tua dela mala massarìa (del cattivo uso) è facta dele asse de quello nostro ponte, la quale non possiamo credere essere causata da altri, se non che li homini lì, sono quelli che le asportano. Perhò vogliamo che ne faci diligentemente inquisitione (ricerca), et trovandone alcuno de simili presumptuosi e temerari, ne pare li punischi come vole rasone, perché debbeno molto ben sapere che la roba è nostra e non sua, ricordandone molto bene che la bona memoria dell’Illustrissimo Signor nostro padre lo fece fare a lui spese.”

Anche due secoli dopo, cioè nel 1668, la situazione del ponte in legno non migliorò, infatti Alessandro Dovara si lamentò del ponte “per essere molto stretto e senza sbarre, riussiva difficultoso e pericoloso il passaggio sopra quello delle carozze”, a tal punto che lo stesso duca Ferdinando Carlo, allora diciottenne, “passando in carozza, hebbe a succedere la disgratia di cader giù di quello un cavallo”.

Il ponte era, dunque, un pericolo pubblico che non risparmiava nemmeno le teste coronate! Per questi comprensibilissimi motivi di sicurezza, a metà Settecento, durante la dominazione austriaca nel Mantovano, si cominciò a pensare ad un ambizioso progetto per quei tempi: ricostruire il ponte non più in legno, bensì in muratura, per evitare la continua manutenzione alle strutture in legno sottoposte alla marcescenza.

Il carteggio relativo alla nuova costruzione, conservato presso l’Archivio di Stato di Milano, mi ha dato l’emozione non solo di seguire la vicenda, ma anche di poter ammirare una bella ed interessante “Pianta di Goito” del 1747, che anticipa di qualche anno la raffigurazione urbanistica del paese redatta dal Catasto Teresiano.

I lavori di progettazione iniziarono nel marzo 1747, ma fu subito lotta per la scelta del luogo di costruzione: rifarlo nello stesso punto o sceglierne uno più strategico? Il capitano ingegnere Baschiera, autore della “Pianta” sopra citata, proponeva la costruzione in un punto più a monte rispetto all’attuale, perché in tal modo il ponte sarebbe stato coperto a nord-ovest dall’abitato di Goito in caso di cannoneggiamenti delle artiglierie nemiche, ed inoltre avrebbe immesso nel paese stesso il flusso delle persone e delle merci transitanti sul ponte, con la positiva conseguenza di “accrescere il consumo de’ commestibili col continuo passaggio e che perciò il Forno, la Osteria ed il Macello renderebbero di più che al presente, perché tanti che passano adesso al di fuori del paese non vi si fermano, ma in allora vi restarebbero a pernottare e vi comprarebbero e vi venderebbero le merci”.

Di parere contrario fu invece Antonio Maria Azzalini, Prefetto alle acque, che preferiva mantenere il ponte nel solito posto, perché non prevedeva un grande incremento “turistico” e commerciale, in quanto “ci vien mostrata dalla isperienza che li passaggeri transitano di qua dal Mincio per lo più di notte per ritrovarsi a Mantova all’apertura delle porte”; inoltre, cosa importantissima, il ponte sarebbe stato più corto e quindi meno costoso.

Per il ponte iniziò così una lunga serie di proposte e controproposte, calcoli e sondaggi, sopralluoghi e progetti, resi più difficili e complessi dalla “ferma generale”, che sconvolgeva in quei tempi il sistema amministrativo e tributario della Lombardia austriaca.

All’improvviso, ai primi di maggio del 1769, giunse a Mantova una preoccupante notizia che sbloccò immediatamente le sonnolenti trattative per la ricostruzione del ponte. “Avvi la circostanza gloriosa per l’Italia di esservi in giro l’Augusto Cesare”; così comunicava preoccupato l’Avvocato fiscale Nonio, quindi figuriamoci in quale comprensibile agitazione si misero i diretti responsabili, sapendo che l’imperatore Giuseppe II avrebbe potuto transitare sul ponte di Goito col probabile rischio di precipitare nelle acque del Mincio assieme al suo premurosissimo seguito di nobili: quante teste sarebbero cadute in tal caso sul patibolo?

I responsabili dei diversi settori burocratici ed amministrativi si misero alacremente al lavoro per evitare eventuali colpe. Il perito camerale Giuseppe Bisagni visitò di nuovo il ponte e sentenziò che “è ridotto a tale essere, che assolutamente ha bisogno di essere rifatto”, ma l’imperatore si avvicinava, il tempo per la ricostruzione mancava e quando il 29 maggio Sua Maestà entrò in Mantova, fu fatto transitare per altre strade e ponti più sicuri.

Passato l’incubo di vedere Giuseppe II a bagno nel Mincio, i progetti e gli studi per il ponte, “se più convenga il rifarlo in cotto oppure in legno, come in ora si trova”, si addormentarono nuovamente per quasi un decennio, per dare anche il tempo al progetto di compiere l’iter burocratico che trovava la sua completezza a Vienna con l’approvazione del sovrano. Il tutto si risvegliò definitivamente nel gennaio 1777, quando venne concesso finalmente l’appalto “per un nuovo ponte in pietra” al mantovano Alessandro Vassanelli, per una somma complessiva di 39.000 lire austriache, ed i lavori iniziarono prontamente in aprile con l’arrivo del tepore primaverile.

Per i lavori di carpenteria fu utilizzato il legname, soprattutto roveri, reperibile nei boschi vicini a Goito, mentre per le costruzioni in muratura fu concesso il permesso di “utilmente impiegare in questa fabbrica i materiali che trovansi nello stesso luogo di Goito, di ragione della Regia Camera, provenuti dalle demolizioni, seguite tempo fa, di alcune Fabbriche Camerali e di porzione di quella ruinosa Rocca, consistenti in pietre cotte e sassi vivi”.

Dunque, secondo la metodologia parsimoniosa ed oculata dell’amministrazione austriaca, che nulla concedeva agli sprechi, le vecchie e gloriose pietre della rocca gonzaghesca (di origine assai precedente!) vennero riciclate e riutilizzate per il nuovo ponte.

Per non interrompere il pubblico passaggio di persone e merci fu provvisoriamente costruito ed utilizzato un ponte di barche.

I lavori proseguirono speditamente, ma col sopraggiungere delle piogge autunnali ed invernali la situazione precipitò disastrosamente.

L’appaltatore dei lavori al ponte si vide persino minacciato da denunce ed accusato di non aver operato con onestà e competenza, tanto che dovette ricorrere alla difesa scritta, che alcuni goitesi sottoscrissero per proteggerlo: “A chiunque spettasi per la pura e mera verità, ricercati gli infrascritti Abitanti e Possidenti della Comunità di Goito, attestano come il Capo Mastro Alessandro Vassanelli da un anno a questa parte sotto l’assistenza ed opera continua di suo fratello Pietro ha indefessamente lavorato alla costruzione di questo nuovo ponte in pietra sul fiume Mincio, ma che nell’opportune stagioni per mesi due circa è stato interrotto il suo lavoro dall’eccedenti escrescenze dell’acque a nostro ricordo non mai vedute in quel fiume e così tanto tempo durabili, come lo sono anche in presente, le quali superavano le roste fatte, che per ricuperare il tempo perduto, ha sempre travagliato anche nello scorso grande inverno con quantità di operarj, che per ben due volte ha avuto la disgrazia che il peso e la rapidità dell’acque gli ha rovesciato parte delle roste con perdita de’ legnami, tuttocché maestrevolmente fatte. Tanto attestiamo, certi di non ingannarsi, perché si tratta di cose che giornalmente abbiamo vedute”.

Con l’arrivo della primavera 1778 i lavori ripresero con maggior intensità, per riparare ciò che la furia delle acque aveva danneggiato.

Il ponte di Goito oggi (o “Ponte della gloria”).

I goitesi erano stancati del prolungato disagio causato dall’utilizzo di un ponte provvisorio e malamente transitabile e si sentivano beffati dalla presenza del nuovo ponte, possente e promettente, ma di cui il destino ostacolava l’utilizzo proprio come la tela di Penelope: l’uomo costruiva e l’acqua distruggeva! Comunque, la costanza, l’intraprendenza ed il duro lavoro di decine di braccia umane (e non di macchine potenti!) ebbero il sopravvento sulle minacce della natura.

Nel novembre dello stesso anno, dopo due anni di lavoro e trenta di progettazione iniziale, con sollievo l’appaltatore dei lavori Alessandro Vassanelli comunicò finalmente alle autorità del governo austriaco: “E’ stato terminato il nuovo ponte di Goito erettosi in pietra ed è ora transitabile!”

Precisiamo doverosamente che questo primo ponte in muratura non è quello che oggi si percorre, perché dovette subire i danni delle battaglie risorgimentali; del ponte settecentesco in muratura, che sorgeva accanto all’attuale ma di poco più a valle, si intravedono ora soltanto alcuni resti sul fondale del Mincio e dai disegni conservati in archivio possiamo verificare che aveva la stessa struttura architettonica dell’attuale.

Giuliano Mondini