Introduzione
L’idea di dar luce a questa serie di itinerari mi è venuta dopo aver effettuato un viaggio qualche anno fa in Spagna dove esiste un percorso (Camino de Santiago) che partendo dai Pirenei arriva fino all’Oceano Atlantico.
Chi lo affronta, a piedi o in bicicletta, si trova a contatto per centinaia di km con bellezze naturali storiche e artistiche.
Perché allora non pensare ad una cosa simile anche qui? Certo stiamo parlando di proporzioni completamente diverse, ma Goito ha la possibilità di offrire non poco al visitatore. Per cominciare decine e decine di km percorribili a piedi a piedi e in bicicletta quasi sempre in zone tranquille e rilassanti vicino al Mincio o in campagna. Storia, Arte, Cultura, Paesaggio e bellezze naturali sono parte del nostro territorio da sempre; spesso anche noi goitesi lo abbiamo dimenticato. Quante volte siamo passati vicini ad una corte, un mulino, una chiesa, senza accorgerci del loro valore? Ritrovare questa consapevolezza potrà essere per Goito un grande vantaggio anche a livello turistico poiché tra breve la provincia mantovana verrà a trovarsi al centro di una fitta rete di percorsi ciclopedonali che coinvolgerà l’intera Europa. Tra questi Mantova infatti sarà il crocevia di due grandi trasversali: la TARIFA ATENE che andrà dalla Spagna alla Grecia e la CAPO NORD – MALTA che incrementeranno in maniera notevole il flusso di persone che transiteranno anche per la nostra città. Oltre a ciò bisogna aggiungere la sempre più crescente richiesta per un tipo di vacanza tranquilla e rigenerante in campagna lontano dalla frenesia, un tipo di ambiente che Goito e il suo territorio possono offrire in larga misura. Per poter arrivare ad un risultato positivo in tal senso, a mio parere sono necessari.
a. Cura e rispetto dell’ambiente con i fatti e non con parole di facciata, sia salvaguardando gli spazi verdi attuali sia creandone di nuovi; valorizzazione del patrimonio storico, artistico e culturale del territorio;
b. Evidenziare i percorsi ciclopedonali già esistenti,dove possibile ampliarli e migliorarli (vedere ad esempio i lavori in corso sugli argini dell’Adige, del Mincio e del Po);
c. coinvolgere in queste opere l’intera comunità;
d. una sinergia tra pubblico e privato per il recupero di edifici, corti, mulini abbandonati (utilizzabili tra l’altro per l’ospitalità come dimostrano ad esempio i vecchi granai ristrutturati in Gran Bretagna);
e. la creazione di strutture ricettive per chi vuole visitare la nostra città. Si pensi ad un complesso alberghiero, agli agriturismo, ma anche a forme più vicine al mondo ed alle tasche giovanili quali ostelli della gioventù e b&b (bed and breakfast) soluzioni quest’ultime particolarmente vicine ad una visione del turismo e dello sviluppo ecologicamente, socialmente compatibili e rispettosi.
L’itinerario generale prevede quattro punti di partenza tutti dal centro di Goito, che si diramano attraverso l’intera superficie comunale arrivando anche in alcuni punti ad oltrepassarla, entrando nei territori comunali di Marmirolo, Rodigo e Volta Mantovana. A questo proposito un ulteriore sviluppo positivo dovrebbe essere costituito da un collegamento logistico con questi comuni in modo tale da formare una fitta rete di percorsi consecutivi tenendo presenti come punti di riferimento la ciclabile Mantova – Peschiera il nascente parco delle Colline Moreniche, le Valli del Mincio ed il Santuario delle Grazie.
I quattro punti di partenza sono naturalmente modificabili a seconda delle esigenze di ciascuno visto che in ogni caso essi si intersecano a piacimento fino a creare una vera e propria rete per i camminatori e ciclisti.
In alcuni casi il passaggio attraverso proprietà private è praticamente obbligato. In questo caso bisognerebbe studiare un sistema che non debba recare disturbo. Un’idea potrebbe essere il coinvolgimento di questi privati, (in massima parte del mondo contadino) in iniziative che presentino al turista le proprie attività come già avviene con le fattorie didattiche. Altra soluzione potrebbe essere l’apertura al pubblico in alcuni giorni della settimana, a pagamento, di residenze private di particolare pregio (Villa Moschini, Villa Giraffa…).
Marco Dallabella
IL TERRITORIO GOITESE
Il Borgo di Goito è situato in larga parte sulla sponda destra del fiume Mincio. La superficie comunale è di 78.82 kmq e un circuito di circa 50 km. La popolazione si aggira sui 9.200 abitanti che risiedono nel capoluogo e nelle frazioni di Cerlongo Solarolo, Sacca, Vasto, Marsiletti, Torre, Massimbona, Maglio e Calliera. La configurazione del territorio è molto varia ed è dovuta sia alla catene di colline moreniche sia alla lunga e larga vallata del Mincio. Sui suoi confini si trovano i comuni di Guidizzolo, Marmirolo, Rodigo, Porto Mantovano e Ceresara. Dista 16km da Mantova, 32 da Verona, 50 da Brescia.
Breve storia di Goito
Il piccolo borgo esisteva fin dai tempi dei Romani che qui iniziarono il loro dominio dal 196 A.C.
Roma Imperiale lo privilegiò come luogo chiave d’incrocio e controllo del sistema delle comunicazioni viarie lungo l’asse di raccordo tra Mantova e il Garda e sul fronte regionale tra Insubria e Veneto. Questa posizione di privilegio è attestata dalla tipica pianta quadrangolare di Castrum Romano, che Goito conserva tutt’ora nel suo tracciato di base concepito come località d’alloggio per truppe stanziali o in movimento ma anche come caposaldo fortificato. Dopo la caduta di Roma fino all’era di Matilde di Canossa, Goito è avvolto in un impenetrabile oscurità; dal V sec. all’XI è probabile che l’antico Castrum sia stato frequentemente teatro di battaglie e distruzioni. Presumibilmente in questo periodo si mutano le condizioni murarie dell’opera di fortificazione, questo potrebbe essere stato ad opera dei Goti. Le incursioni barbariche continuarono fino all’inizio del Medioevo – 470 D.C. – e dopo il positivo regno bizantino seguirono due secoli di governo Longobardo.
Dopo il dominio dei Franchi ed un periodo denso di avvenimenti sanguinosi arrivò il dominio dei Canossa (1027) che governarono a nome dell’impero per circa 150 anni. È di questo periodo il diritto feudale per il pagamento del pedaggio sul ponte.
Dopo lo scontro tra Guelfi e Ghibellini (il famoso tiranno ghibellino Ezzelino da Romano fu combattuto e sconfitto dai mantovani capeggiati, secondo la leggenda, da Sordello). Nel periodo comunale (1015-1274) gli Arimanni divennero signori di Goito e da nobili campagnoli fissarono la loro dimora presso il castello, oggi cinema comunale. Dal comune si passò alla Signoria Gonzaghesca con la quale la città acquista splendore progredendo nell’agricoltura nel commercio e avendo benessere per tutta la popolazione. Il governo di Vincenzo Gonzaga segna l’inizio della decadenza della dinastia che viene rimpiazzata per eredità, dai Nevers.
Per circa 100 anni Goito è sotto l’influenza dell’Austria. La fine del ‘700 è testimone del dominio francese che proclama la repubblica cisalpina, con essa GOITO diventa DISTRETTO con pretura.Dopo varie peripezie la CITTÀ tornò ancora agli austriaci sino a quando l’inizio dei moti rinascimentali fece nascere il desiderio di unitÀ libertà, indipendenza. Infatti con lo scoppio della I guerra d’Indipendenza Goito diviene teatro di importanti movimenti militari dapprima con lo scontro tra i bersaglieri e gli austriaci sul ponte l’8 aprile 1848 e in seguito il 30 maggio con protagonisti i granatieri nella battaglia in cui rimase ferito Vittorio Emanuele II. La CITTÀ fu protagonista per tutta la durata delle guerre d’Indipendenza meritandosi l’appellativo di “Piccola città del Risorgimento” ed infine la liberazione portò la sua restituzione all’Italia il 4 luglio 1866. Per quanto riguarda la storia contemporanea si devono ricordare i valorosi contributi dati da Goito nel corso delle due guerre Mondiali.
Fin dal 1110 è documentata l’esistenza di un castrum, anche se appunto non si conosce un’eventuale coincidenza con uno posteriore. Nella seconda metà del ‘400 I Gonzaga grazie all’opera di Lodovico II contribuirono ad ampliare e fortificare maggiormente la cinta muraria dell’abitato. Essa, a forma vagamente pentagonale con torri circolari agli spigoli, sopravvisse per lungo tempo. Le mappe catastali del settecento la mostrano ancora pressoché integra, eccetto alcuni tratti meridionali, è ancor’oggi circondata da un ampio fossato derivato dal Mincio. In seguito il fossato venne colmato e le mura inglobate in nuove costruzioni o distrutte, oggi ne rimangono scarsissimi resti. Personaggio di rilievo fu sicuramente Vittorino de Rambaldoni detto da Feltre 1378-1446. Chiamato a Mantova come educatore dei figli dei Gonzaga ebbe rapporti con Goito ricoprendo il ruolo di ingegnere su incarico del marchese che nel 1430 gli chiese la costruzione simmetrica del castello e del paese. La disposizione attuale della città è infatti relativa a quest’epoca.
TOPONOMASTICA GOITESE
Tra gli studiosi vi sono varie teorie : secondo Pietro Pelati dopo la caduta dell’impero romano solo l’opera assidua dei Benedettini con l’aiuto dei Longobardi (vedi Casalico dei Longobardi oggi Calliera) seppe ricomporre le terre disastrate di Mantova e provincia.Le prove sulla derivazione gotica di Goito non esistono. La piùcongeniale sembra essere quella di “sgorgata dalle acque del Mincio”. Infatti “Guttus” cioe vaso, gotto veniva usato nell’epoca tarda romana-alto medievale per indicare un’insediamento delle acque.
In questo affini sono: Godi (PC), Godia (UD), Godiasco (PV), Godo(RA), Goido (PV), Goito(MN), Gottolengo (VR), Gottosecca (CN) e le terre Goite di Piubega. Nel tempo il nome arrivato a noinel vernacolo “Guit” e poi Goito nell’italiano corrente.
Secondo Livio Galafassi: all’apparenza sembra una facile derivazione dal nome dei Goti, popolazione barbarica protagonista di invasioni nei secoli V e VI D.C. ma non c’è esatto riscontro.
Giovanni Tassoni studioso di Toponomastica afferma che il nome sarebbe giunto a noi come Godo, affine a Godega Sant’Urbano (BASSANO). Nei documenti del XII sec. la località si chiamava Godio, Godius, Vicus, Godii, dove si applica una forma di lex gothorum dalle popolazioni locali, questo è un sostegno all’ipotesi gotica per il nome.
Lo storico Federigo Amadei nel ‘700 confermò che i Goti edificarono un Castello assai forte che da Goti si chiamò Goito.
NOTA DELL’AUTORE: Secondo l’Istituto Geografico Militare, anche Gudo Gambaredo e Gudo Visconti (Milano) hanno una provenienza gotica.
A questi nomi si deve aggiungere anche Castello di Godego in provincia di Treviso, il quale vanta un’antica presenza sul suo territorio sia dei Goti che dei Longobardi.
Negli itinerari proposti, un’ideale filo di collegamento è rappresentato dalla CORTE.
Organizzazione tipica dell’età feudale autosufficiente sul piano economico, sociale, giurisdizionale formata dall’insieme degli edifici e terreni del signore feudale. Dal punto di vista tecnico si tratta di uno spazio scoperto circondato totalmente da un’edificio.
I Gonzaga fin da prima del 1400 e i loro beneficiari nobili formarono la “corte” potenziando i precedenti insediamenti.
Essa si qualificava più come centro gerarchico che come centro di raccolta sul modello gonzaghesco del far confluire tutto, grazie alla viabilità fluviale, verso Mantova e i porti.
Con la caduta della dinastia ed il rafforzamento dei patrimoni delle migliori famiglie (Cavriani, D’Arco, ecc. ecc.) comparvero nella corte tra il ‘600 e il ‘700, i rustici, le grandi stalle, le lunghe barchesse, tipicità del mantovano.
Tra il 1700 ed il 1800 vennero potenziate anche le corti medio – piccole a somiglianza delle grandi. In questo periodo le parti produttive della corte prenderanno il sopravvento su quelle emblematiche che passeranno a residenza dell’affittuale o addirittura a deposito. L’abitazione contadina vera e propria risulta separata.
Tra il XVIII ed il XIX sec. Si diffonde il LOGHINO, simile a corti a quadrilatero o con rustici e casa giustapposti, sul modello emiliano, veniva costruito spesso a ridosso degli argini. Nel 1800 e nel 1900 si assiste al sovraffollamento delle campagne che porta al degrado e abbandono di molte corti, pur con una forte produttività dei fondi. Nel goitese si ha una prevalenza della corte chiusa, ma complessa ed articolata.
IL CATASTO TERESIANO
Fu la prima reale operazione di misurazione fondiaria del mantovano. In seguito l’insediamento naturale rimane pressoché invariato, ad eccezione dell’aumento degli edifici produttivi (stalle) che nel Catasto Teresiano sono solo nelle corti maggiori, e nell’incremento dei Loghini.
Fino al C.T. i paesi erano modestissimi nuclei formati dalla chiesa e dall’oratorio, con un’osteria. La corte è dominante ed accentratrice;infatti oratori, mulini, opifici sono annessi ad essa, ad eccezione dei MOLINI e dei MAGLI dove si sfrutta primariamente l’energia idraulica.
Mentre il nucleo di Goito ha l’eredità castellana, Vasto e Massimbona risultarono essere un’aggregazione di corti.
IL MINCIO
Su ogni fiume d’Italia, tiene la palma il Mincio, stupenda “ rivera” mantovana che incantò per sempre l’anima di Virgilio fanciullo. Se il Mincio non passasse per Goito questa città perderebbe gran parte della sua attrattiva. Cosi scriveva Giovanni Guernelli nelle “memorie storiche di Goito”; come si può non essere d’accordo ? in questa ricerca su itinerari nella storia e nella natura goitese, uno dei pilastri portanti è costituito proprio dal nostro fiume. Esso nasce in Trentino dal massiccio del Adamello a 2500 m di altezza con il nome di Sarca, si butta quindi nel lago di Garda dopo un percorso di 72 km. Il magnifico lago e lo stupendo fiume furono fonte di ispirazione per i poeti latini ed italiani quali Catullo, Dante, Spagnoli,Virgilio e Carducci.
Tornando a cose più pratiche, il Mincio esce a Peschiera del Garda per poi iniziare il suo percorso che lo porta a Salionze, Monzambano, Borghetto, Pozzolo e Goito. Qui esso si snoda nelle zone forse più tranquille, creando angoli di grande suggestione scendendo da Massimbona verso il centro della città e proseguendo poi verso Mantova. Senza porre troppa enfasi su questa bellezza naturale dobbiamo però essere consci del grande valore che essa rappresenta.In questi tempi di frenesia, una ricchezza qual è quella rappresentata dal Mincio, deve essere tutelata e valorizzata sempre più rendendola appetibile ad un turismo verde sempre più in ascesa.
Perché si chiama Mincio?
In uno studio filologico di Giuseppe Fregni del 1609 è spiegata l’etimologia del nome secondo cui il significato non sarebbe altro che la finale della parola “Incomincio” in seguito abbreviata dal popolo. Alcuni autori ritengono il nome Mincio un idronimo di origine preromana celtica. Dal Mincio prende nome il parco naturale regionale istituito nel 1984 che protegge un’area di 14708 attari suddivisi in tredici comuni tra cui Goito.
Il Mincio e l’Anello di Pacinotti
Nel 1859 Antonio Pacinotti diciottenne studente pisano mentre era a fianco dei volontari che andavano a combattere gli Austriaci ebbe modo di escogitare il famoso “ anello” che da lui prese il nome e che puo essere considerato il prototipo dei generatori di corrente elettrica. Egli raccontò che la sera della battaglia di Goito mentre stava seduto sul ciglio del fiume ebbe l’idea che presento’in seguito all’esposizione di Vienna ricevendo la medaglia del progresso ma purtroppo ingenuamente trascurò di brevettarla; l’idea gli fu cosi sottratta e sfruttata industrialmente; comunque egli divento ‘professore universitario e senatore nel 1906 avendo molti onori accademici. Morì nel 1912. Goito lo ricorda con due lapidi: una apposta nell’atrio del Municipio e una sulla facciata del ristorante “Al Bersagliere”.
CHIESA PARROCCHIALE DI GOITO
Dedicata a San Pietro, fu progettata dall’architetto Giovanni Maria Borsotti che iniziò a dirigere i lavori il 14 luglio 1729. Venne terminata nel 1734, ma solo nel 1776 si iniziò la costruzione della sagrestia, all’altezza dell’abside sulla fiancata sinistra, conclusa nel 1791. E’ edicata a S.pietro. Fu proclamata basilica minore da Papa Pio XII con titolo di Madonna della Salute il 12 aprile 1946.
La Chiesa è in stile barocco, ha una lunghezza di 41 metri, una larghezza di 18 m e un’altezza di 20 metri.
La facciata raffinata ed elegante offre su una base marmorea, colonne e lesene su due ordini suddivise da un cornicione e terminante con un frontone triangolare. Si formano cosi 5 assi formanti otto riquadri. Nei due assi posti ai lati spiccano due riquadri con al centro una nicchia e sopra, ai lati, elementi di raccordo. Nei due assi intermedi, nella parte bassa, si elevano le due porte secondarie d’ingresso all’edificio, mentre nei due riquadri superiori si possono scorgere due nicchie con le Statue di San Pietro e San Paolo. Sopra il portale d’ingresso principale c’è un mosaico riproducente l’immagine della Madonna della Salute; nel riquadro centrale, sopra il cornicione si stagliano una serie di cornici che creano effetti di chiaroscuro. Sul lato sinistro della Chiesa, sono invece il Campanile e la Sagrestia. I tre portali, che nel 1941 vennero ricoperti da lastre di bronzo dallo scultore Giuseppe Menozzi, offrono su ogni battente delle due porti laterali quattro Maestri della Fede, ossia l’Abate Ottoni Luciano, Mattia Simone, Giacomo Alfeo, il Marchese Ludovico Gonzaga, Pietro, Giovanni, Filippo e a sinistra Bernardino da Clerici, Bartolomeo, Giuda di Giacomo, Matteo, Camello Ulivo, Giacomo, Tommaso e Andrea. Il portone centrale, dedicato alla Vergine, presenta undici fusioni, riferite ai momenti della vita di Maria. La Basilica la suo interno presenta solamente una navata, ai cui i lati si scorgono quattro cappelle a volta; la prima Cappella laterale è quella dedicata a Sant’Antonio Abate, la seconda è dedicata al Sacro Cuore che un tempo ospitava un’altare in stucco del 1746 di cui si conservano ora alcuni tratti, in quanto in seguito a ristrutturazioni e rimaneggiamenti l’altare è stata sostituito da un’altare in marmo bianco policromo lateralmente. La terza Cappella è invece dedicata alla Madonna della Salute; possiede una volta a semicerchio e arco di circonferenza fatto a cassettoni di stucco poggiante sulle due lesene prospicienti la navata.
La Quarta ed ultima Cappella laterale è dedicata a Gesù Crocefisso con ai piedi un’angelo, sulla destra S. Vincenzo Ferrari e sulla sinistra S. Francesco Saverio in adorazione.
Ritornando alla navata, prima del presbiterio si scorge un confessionale in legno di noce lavorato sovrastato sa un bel quadro raffigurante” il trionfo della Croce”, tela racchiusa in una cornice di legno, dipinta ad olio, proveniente dalla Cappella della Confraternita della Santa Croce di Goito. Sembra che il dipinto sia di Domenico Celesti pittore veneto del 1700.
L’altare maggiore è invece da attribuirsi al tagliapietra veronese Carlo Sandri, su disegno dell’architetto Antonio Vergani. Il paliotto mostra un pannello fuso in bronzo, raffigurante l’Ultima Cena, opera del Menozzi, mentre nei riquadri laterali sono presenti due pannelli bronzei raffiguranti “il Battesimo di Cristo”e l’annunciazione. L’abside semicircolare accoglie un bellissimo coro in legno tutto intarsiato di avorio, formato da sedici stalli con inginocchiatoi e con al centro cattedra con baldacchino. Tutto questo è opera seicentesca, proveniente dal convento dei Camaldolesi di Bosco Fontana.
Sopra il coro a dividere la parte absidale in tre settori sono quattro lesene doppie decorate: nei settori laterali si elevano delle finestre vetrate mentre quello centrale è interamente occupato dalla grande tela del Maestro mantovano Giuseppe Bazzani. Il dipinto, che rappresenta Cristo che consegna le chiavi a San Pietro, con Loghino a lato e le figure simboliche della Fede, della Speranza, della Carità, è stato realizzato nel 1739. La sagrestia, formata da un’unico vano, presenta un soffitto a volta. È presente un grande mobile in noce, con sportelli a specchio e cimose ad intaglio e proviene anch’esso dal Convento di Bosco Fontana. Nella navata si scorge anche, intagliato nella parete, un confessionale in legno sovrastato da un quadro di San Francesco in preghiera, opera del pittore Domenico Fetti. Infine, prima dell’uscita, nella parete sinistra si accorge il piccolo Battistero con il fonte battesimale opera in bronzo e marmo di Giuseppe Menozzi.
IL CAMPANILE
Fu distrutto a causa del terremoto del 1693 così il 26 Aprile 1806 il parroco del tempo Don Baldassarre Sartorio indisse una riunione di tutti i capi famiglia della fine di decidere le modalità della ricostruzione. L’opera di ricostruzione durò per oltre 3 anni. Quindi l’uso della torre scudata come campanile provvisorio che era durata per oltre 50 anni cesso’nel 1810 quando il nuovo campanile fu ultimato. Esso adottava per la parte terminale la caratteristica forma a cipolla di chiara influenza alto- atesina, in ossequio con ogni probabilità alla cultura ed ai gusti dei dominanti austriaci. Nel 1833 si diede corso alla realizzazione di un concerto di 5 campane con il relativo castello in legno. Nel 1970 si effettuò l’elettrificazione delle campane.
IL PONTE DELLA GLORIA
Il ponte probabilmente sorge nel periodo dei Canossa, anche se fin dall’arrivo dei Goti nel 489 diventa punto strategico di fondamentale importanza. Esso era levatoio e fu rifatto moltissime volte a causa dei transiti, delle piene del Mincio e dei furti di travi che venivano commessi dai poveri, anche a rischio della forca.. Attorno ad esso sorsero strutture difensive per ospitare guarnigioni militari ed addetti alla riscossioni dei pedaggi.
Con Matilde il diritto di passaggio viene concesso e controllato dai Monaci Benedettini di San Genesio da Brescello. Da Mantova verranno inviati gli appartenenti della “Consorteria della Clocheria” più tardi detti Signori di Goito, che spodestavano i Monaci sui diritti di passaggio; esercitando tutti i diritti sulla zona.
Nel corso dei secoli il ponte fu più volte distrutto e ricostruito.Dopo varie vicissitudini nel gennaio 1777 venne concesso l’appalto per un nuovo ponte in pietra al mantovano Alessandro Vassanelli per una somma complessiva di 39000 lire austriache. Per i lavori di carpenteria fu utilizzato legname dei boschi goitesi, mentre per le costruzioni in muratura vennero utilizzate anche le antiche pietre della rocca gonzaghesca. Nel novembre 1778 Vassanelli comunicava al governo la conclusione dei lavori.Questo ponte che non è l’attuale, era posto vicino ed aveva lo stesso tipo di struttura architettonica.
PLATANI SECOLARI
Situati all’interno di Piazza Sordello sono di proprietà del Comune di Goito.
La commissione Provinciale di Mantova per la protezione delle Bellezze Naturali li incluse nell’elenco delle cose da sottoporre a tutela paesistica compilato in base alla legge 29 giugno 1939, sulla protezione delle bellezze naturali. Il Ministero della pubblica Istruzione con un decreto del 10 gennaio 1952 confermò questa disposizione e da allora i Platani secolari sono da considerarsi un vero e proprio Monumento Nazionale protetto a tutti gli effetti anche se il proprietario dovesse cambiare.
IL MERCATO
IL Duca Guglielmo Gonzaga autorizza un mercato settimanale da tenersi il Venerdì nella Contrada Maggiore; dal 1714 il giorno diventa il Sabato.
Attualmente il giorno è la Domenica, ed esso si svolge attraverso le vie principali del centro storico, affollato da una miriade di persone che lo elegge come uno dei più importanti e ricchi di tutto il territorio mantovano.
IL MULINO
L’attenzione dei Gonzaga verso Goito, in particolare nella seconda metà del 1400 con Lodovico, si concretizza con la realizzazione di imponenti opere idrauliche che permettono di irrigare vaste estensioni agricole, non molto fertili, soprattutto nella parte settentrionale del Comune.
Egli si avvale dell’aiuto dell’ingegner Giovanni da Padova che progetta il Naviglio di Goito. Sia lungo il fiume che lungo il naviglio stesso, sorgono molti mulini, alcuni filatoi e una cartiera a Maglio, grazie alla particolare velocità di scorrimento del le acque del canale. I mulini erano quasi sempre di proprietà di importanti famiglie che li concedevano in affitto. Tutti quelli citati nei profili sono stati guidati e gestiti nei secoli da vere e proprie stirpi di Mugnai goitesi quali: Alboini, Angelini, Cavalieri, Cobelli, Facchini, Noventa, Pozzi.
IL VECCHIO MULINO: Dalla via XXVI Aprile, imboccare sulla destra Via Vittorio Veneto. Alla fine di questa si entra nel cancello di fronte: lo si può vedere a fianco del Mincio. L’edificio risale all’inizio del XVII° secolo ed è di particolare rilevanza storica ed architettonica. Al suo interno sono ancora presenti numerose attrezzature e le pale che azionavano le macine tuttora esistenti. Il mulino cessò l’attività nel 1956 dopo che la famiglia Pozzi che lo aveva guidato per 50 anni, trasferì il proprio laboratorio in paese. Tra i proprietari, la famiglia Moschini e l’amministrazione comunale ci fu un’accordo di vendita una decina d’anni fa circa.
Da allora questa istituzione locale è stata recuperata fino a far diventare il Vecchio Mulino sede di una Mostra permanente dell’Arte Molitoria. Al suo interno si svolgono anche mostre di arte e pittura. Una splendida visuale è possibile dal Ponte della Gloria.
LUNGOMINCIO MARCONI: Il sentiero, costituito nel 1994 grazie al Corpo Forestale della Regione Lombardia, al Parco del Mincio e alla guardie ecologiche volontarie, costeggia il fiume parallelamente alle mura della Villa Parco ed offre uno scorcio di rara bellezza e di relax da gustare tra il verde e gli animali acquatici che popolano il Mincio e la piccola isola situata frontalmente. Notevole ed ancora più silenzioso il tratto sterrato che porta verso Corte Isolo.Poco prima di arrivare ai lavatoi sulla sinistra si intravedono i resti dell’antica ghiacciaia gonzaghesca, con tipica struttura in muratura e montagnola piantumata. Uno dei rari esempi rimasti in provincia, insieme a quella di Marengo,una sorta di frigorifero antesignano che serviva al mantenimento del ghiaccio, usato per gli alimenti e a scopo medico nei mesi caldi.
LAVATOI: Costruiti in epoca subito successiva alla seconda guerra mondiale, erano naturalmente meta delle lavandaie che trovavano una maggior comodità per sbrigare i lavori di lavaggio degli indumenti. Da qualche anno vengono utilizzati come punto di appoggio e di attracco per le frequenti competizioni canoistiche che si svolgono nel Mincio.
VILLA PARCO: Fin dal 1460 il marchese Ludovico Gonzaga aveva fatto costruire in Goito un magnifico palazzo aggiungendovi un vasto parco. Il marchese Francesco continuò l’opera dell’avo abbellendolo di tale splendore tale da renderlo famoso al pari di quello di Marmirolo. Popolò il parco di animali selvaggi per gli esercizi di caccia ai quali era molto portato. Ma fu con il duca Guglielmo Gonzaga, amante della campagna e desideroso di un’aria pura per la sua salute incerta, che il palazzo arrivò al suo massimo splendore. Negli anni 1584-1585-1586-1587 vi creò una residenza che non aveva niente da invidiare alle più belle ville che i Gonzaga possedevano in quasi tutti i punti del loro dominio. In quel periodo il casato toccò l’apice del successo economico e Guglielmo profuse per la sua villa la somma di 300.000 scudi d’oro.
Architetti, pittori, vetrai, indoratori, nomi famosi quali il Viani, Bertani, Fancelli, furono attivi nel palazzo. Gli affreschi furono curati da Teodoro Ghisi, Ippolito Andreasi, Francesco Bargano, Camillo Mainardo. Arrivarono arazzi, specchi, damaschi da ogni luogo. Si cercavano nelle lontane regioni dell’Asia e dell’America, piante, fiori, animali, uccelli, pesci per i giardini, per il parco, per le fontane.
Nel 1693 un terremoto la danneggiò facendo crollare alcune stanze ed il tetto. Con la discesa politica dei Gonzaga anche i tesori d’arte come la villa cominciarono a decadere.
Nel 1735 essa era ancora in uno stato tollerabile quando il paese fu preda delle truppe del re di Sardegna Carlo Emanuele III; che si accamparono nella villa, la quale subì ogni genere di violenza e spoliazione. Tutto il vendibile fu asportato, gli animale del parco uccisi, devastati i giardini ed il parco distrutti gli affreschi e le statue, infrante le fontane.
In seguito, la superba dimora si sfasciò completamente in pochissimi anni, e di essa si ricorda solo la leggendaria magnificenza non testimoniata purtroppo da disegni e progetti, ma comunque immaginabile dai documenti dell’Archivio Gonzaga.
Alla fine del 700, nella stessa parte del paese fu edificata l’attuale Villa Parco; l’architetto Leopoldo Pollack fu il progettista iniziale del Parco, testimoniato da una lettera datata 17 dicembre 1793 in cui egli assicurava il proprietario Francesco d’Arco sul fatto che la tenuta sarebbe diventata una delizia forse unica nello Stato. Si deve poi al lavoro di Giuseppe Crevola e Gianbattista Marconi architetti neoclassici di Mantova l’edificazione e l’innalzamento della villa.
Un grande giardino sale verso di lei dalla cancellata, arricchito da fontane. Mano a mano che ci si avvicina alla costruzione, si trasforma secondo il gusto paesaggistico di derivazione inglese. I tre imponenti viali che corrono paralleli verso la villa risultano tagliati dall’asse formata dalla villa stessa e dalle sue lunghe adiacenze e dall’altro asse che parte dalle portinerie neogotiche.
Nel parco alberi, arbusti, cespugli, siepi, macchie, aiuole, oleandri, roseti e una serie di laghetti suggellarono l’atmosfera romantica. Il parco è cinto da mura in sasso, la grandiosa fronte del palazzo appare nella parte mediana con un portico a cinque fari cui corrisponde una grande loggia chiusa con vetrate. (la parte principale del palazzo era composta da abitazioni, sale, salotti, un piccolo teatro, rimesse, scuderie che nel tempo subirono vari danni)
Al secondo piano una serie di lesene poggianti sul bugnato gentile del registro inferiore della facciata, inquadrarono le finestre sormontate da timpano triangolare. L’ambizioso coronamento scultoreo ed esaltazione dello scudo recante le cifre dei Moschini, è il risultato del lavori del 1888 quando la villa entrò nel patrimonio di questa famiglia. L’ingresso principale del parco è monumentale, con due corpi di fabbrica a torrione con merlature ghibelline, rosoni, finestre a sesto acuto. Di notevole rilievo sono la vaccheria elaborata in stile neogotico e la cappella funebre dei Moschini eretta alla fine degli anni anni 20, dallo scultore Giuseppe Menozzi insieme all’architetto Luigi Fossati. Nell’ambito dei lavori del mausoleo vengono realizzati tra gli altri il portale in bronzo, la statua di Giuseppe Moschini, S.Francesco, la Deposizione, il calice d’argento, oro e lapislazzuli.
Per concludere si può dire che la villa costituisce uno dei maggiori complessi costruiti in età neoclassica nel mantovano. Il 12 Marzo 1954 il presidente della repubblica la rende soggiacente a vincoli di bellezza naturale. Dopo i D’Arco furono proprietari il barone Somensari i conti Cocastelli e dal 1879 all’ingegnere Moschini i cui discendenti sono tutt’ora proprietari.
La realizzazione del Parco documentata in varie lettere scritte da Giovanni da Padova tra il 1471 e il 1478 doveva rispondere alle esigenze del marchese e della corte di un legame più diretto con l’ambiente naturale non solo dal punto di vista economico ma anche ricreativo. Certamente la vastità della grande tenuta era molto superiore a quella attuale, coprendo tutta la sponda destra del Mincio fino alla Bardellona. Probabilmente alla originale struttura quattrocentesca appartengono le due fontane circolari e la partizioni dei viali. Il palazzo gonzaghesco sorgeva dentro le mura del Castello, mentre l’attuale Villa Parco fu edificata vicino ma fuori dalle suddette originarie costruzioni. Il parco venne cinto da una costruzione muraria progettata da Giovanni da Padova. Nel 1472 venne innalzato un tratto di muro dell’altezza di sei braccia e dei cornicioni che testimoniavano il fatto che non si trattasse di un semplice muro di recinzione ma di una struttura architettonicamente definita. Il perimetro delle mura misura circa sei chilometri.
CORTE DOGANA
La dogana vecchia e nuova come suggerisce il nome stesso erano abitazioni in prossimità del ponte che servivano a riscuotere il pedaggio dai passeggeri o il dazio per le merci.
Con l’ascesa al potere dei Bonacolsi venne acquistata da loro e gestita dai loro esattori.
La venuta dei Gonzaga a Goito portò ad una edificazione progettata da Giovanni da Padova su commissione del marchese Ludovico.
Nel 1776 risulta essere proprietà della Ducal Camera di Mantova.
IL NAVIGLIO
Iniziano nel 1455 i lavori di un’altra opera fondamentale per Goito, dopo la Via Postumia. Le ingenti spese del Canale che legherà il nostro lago alla città di Mantova vengono sostenute dal Marchese Ludovico di Gonzaga mentre il progetto è dell’ingegnere Bertola da Novate.
La responsabilità dei lavori venne affidata all’ingegnere Giovanni da Padova che si avvale del lavoro di muratori, manovali e braccianti provenienti dalle più disperate località.
Le acque del Naviglio servivano, oltre che ad annacquare i prati, a far funzionare le numerose attività sorte in quel tempo: cartiere, mulini, folli e concerie.
Con la fine della dinastia dei Gonzaga finì pure il pieno funzionamento della via d’acqua che alimenta tutt’oggi qualche piccolo opificio e soddisfa molte necessità agricole.
GRANATIERE
Il monumento al Granatiere fu eretto il 30 Maggio 1998 per ricordare la battaglia combattuta il 30 maggio 1848 nella parte Nord-Ovest di Goito nella zona delle Corti Tezze, sulla strada che porta verso Vasto, in corrispondenza del monumento eretto in memoria di Vittorio Emanuele.
Questo combattimento è da considerare come il proseguimento di quello del giorno prima a Curtatone e Montanara dove i giovani volontari napoletani e toscani opposero una strenua resistenza alle truppe austriache di Radetzkj rendendo meno difficile il compito dei Piemontesi spiegati a Goito nella Valle del Mincio.
Il 30 maggio lo scontro fu durissimo: furono impegnati circa 50000 uomini con ingente spiegamento di mezzi. Mentre i piemontesi stavano per essere travolti il giovane Duca Vittorio Emanuele di Savoia pronunciò la frase che divenne poi il motto dei granatieri “ A me le guardie per l’ onore di Casa Savoia”, spronando al contrattacco che decise le sorti della battaglia. In quel frangente i Granatieri ebbero una ventina di morti, tra i quali il giovane marchese sottotenente Augusto Benso di Cavour nipote dello statista Camillo, decisivi per l’esito della battaglia che contò alla fine alcune centinaia di morti e feriti. Questa importante contesa fu riscoperta grazie al contributo di Roberto Bonini responsabile provinciale dell’associazione Granatieri ed è culminata come detto con l’erezione del monumento al Granatiere e con Goito assurta al ruolo di Città.
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