In questa parte sono indicate le frazioni e le corti più significative del Comune di Goito:

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LE CORTI
CORTE GAZZO
Corte secolare di proprietà gonzaghesca. È visibile praticando il sentiero che porta a corte Isolo; essendo sull’altra sponda del fiume non è raggiungibile direttamente da questo tratto. Nel 1587 il Duca Guglielmo Gonzaga fabbrico’il monastero di S. Martino e lo donò ai monaci benedettini aggiungendo un podere di circa 60 biolche con una casa, posta sempre in Goito, nella contrada denominata “il Gazo”.
Il nome deriva probabilmente dal Longobardo “gahagi”, ovvero terreno coltivato, boschivo e cintato. Corrisponde al “gazo” degli arimanni o al “gaiu” dei siciliani.
CORTE ISOLO
Antica corte ristrutturata parzialmente poco tempo fa, è posta su un isolotto del fiume Mincio nei pressi della frazione di Torre. Nei secoli scorsi appartenne ai Padri Benedettini che coltivavano il terreno circostante e dopo la riforma anche ai marchesi Cavriani.
MULINO di TORRE
La corte al molino è citata nel Catasto Lombardo Veneto redatto tra il 1855 ed il 1864. Il Mulino, come tanti altri del circondario sorge nel periodo di Lodovico e Guglielmo Gonzaga (1500 circa).
TORRE: dal latino “Turris”, è cosi chiamata per un torrazzo esistente in passato, forse ai tempi di Sordello, della famiglia dei Visconti. Qui tutti gli anni il primo giorno di quaresima si svolge l’antica e tradizionale “Sagra del Pit” ossia del Tacchino.
CORTE SERENO
Secondo varie biografie di trovatori provenzali e non, e vari documenti storici tra i quali soprattutto i registri ufficiali di età angioina conservati nel Archivio di Stato di Napoli, il poeta Sordel de Goi ovvero Sordello da Goito nacque inequivocabilmente nel paese del Mincio all’incirca nel 1199 e morì nel 1269. non è mai stata trovata una carta ufficiale che attesti con certezza assoluta la casa dove egli nacque, ma vari studiosi sono arrivati alla conclusione che con ogni probabilità, questo luogo è da ritenersi Corte Sereno.
Sordello può essere considerato senza ombra di dubbio, il più noto e forse il maggior poeta in lingua provenzale. Il nome della corte è mutuato dai proprietari del 600 che si chiamavano Serinni. Per quanto riguarda Sordello, egli fu buon cantore e musico, uomo di aspetto avvenente e incline alle avventure d’amore, come lo descrive una “vidas”, biografia del tempo.
Giosuè Carducci dichiarò secoli dopo che fra gli italiani che poetarono in provenzale il più insigne è Sordello da Goito, uno di quei poeti che fanno risplendere come il sole tutto ciò che toccano, uno di quelli il cui canto”vince di mille secoli il silenzio”.
Viene ricordato anche da Dante nella Divina Commedia, dove nel sesto canto del Purgatorio si legge dell’incontro con il sommo poeta Virgilio.
Dell’opera sordelliana poco è giunto a noi: una quindicina di liriche, diverse canzoni ed il poemetto “Ensenhamenses d’onor” ed un “Compianto” in onore di Ser Blacatz nobile signore provenzale tradotto in varie lingue a quel tempo diffusissimo. Moltissimi scrissero di Sordello ma furono solo tre le persone che lasciarono cose complete e di valore: Cesare de Lollis nel 1896, Giulio Bertoni nel 1938 ed il nostro concittadino Emilio Faccioli la cui opera davvero pregevole ha visto la luce nel 1994 ed è stata il fulcro dei festeggiamenti con i quali Goito ha onorato Sordello con le cosi dette Manifestazioni Sordelliane.
Altro valente poeta goitese fu Andrea da Goito che fu in stretti rapporti di amicizia con Petrarca ospite sovente nelle tenute gonzaghesche. Fu inoltre segretario di Luigi Gonzaga avendo parte di rilievo nei negoziati del periodo.
CORTE FABBRICA I- II – III – IV – V – VI – VII
Serie di corti situate nella parte nord-ovest del territorio goitese. Alcune di esse sono poste ai limiti del confine con il Comune di Volta Mantovana. Le Fabbriche sorte nel periodo ottocentesco erano proprietàdel conte Antonio Grimani e della figlia contessa Marianna.
Il nome Fabbrica venne probabilmente scelto per simboleggiare la costruzione e l ‘ultimazione dell’edificio. Le prime cinque sono citate all’interno del Catasto Lombardo Veneto del 1855-1864.
ORATORIO DELL’ANGELO CUSTODE
Situato in località Tombella, fu realizzato su un’iniziativa del Parroco Don Antonio Reggiani nel 1750, è dedicato all’Angelo Custode.
Citato sia nel Catasto Teresiano del 1776, sia in quello Lombardo Veneto del 1855-1864.
CORTE TOMBELLA _ Corte posta nell’omonima località.
ISOLA DELLE FRANGOLE
La Frangola è un albereto delle Ramnacee con foglie ellittiche e piccoli fiori giallo verdastri e drupe nere (frutti carnosi). La corteccia ha proprietà medicinali. Il suo nome scientifico è Rhamnus Frangula, è originaria del Medio Oriente.  È sinonimo di Alno nero, Ontano.  Il nome deriva da frangere, perché si spezza facilmente.
L’isola fu acquistata nel 1984 dal Comune di Goito con l’intento di adibirla a parco pubblico da mettere a disposizione della collettività sia pure con rispetto dell’ambiente naturale. Classificata come bosco misto, quest’area possiede i caratteri naturali paesaggistici peculiari dell’ambiente rivierasco. Sull’isola, che è in zona di rispetto fluviale esiste anche un pioppeto. Essa è accessibile da stradella rurale attraverso il fondo Merlesco.
Esiste una pubblicazione, disponibile nella biblioteca comunale, scritta a cura di Andrea Orlandi e Laura Allegretti Bellagamba che studia la miriade degli invertebrati e di animali piccolissimi che vivono nelle acque dolci presenti quindi anche nel fiume Mincio. Attualmente fa parte del Parco del Mincio.
CORTE MERLESCO
Il suo nome deriva da una torre merlata presente all’interno di questa corte che apparteneva alla famiglia Gonzaga, e di cui si ha traccia fin dal 1400.
Come molti altri beni della famiglia, nel seicento fu ceduta a nobili, quali i Conti Grimani; per più di due secoli i terreni vennero coltivati a riso.
Attualmente è sede di un’allevamento di bufale per la produzione della mozzarella. È citata nel catasto Teresiano del 1776 e nel Catasto Lombardo – Veneto del 1855-1864.
LA VIA POSTUMIA
Iniziata qualche anno prima, fu portata a termine nel 139 A. C.  Questa grandiosa Via Romana, venne tracciata dal Console Spurio Postumio Albino ed univa il Mar Tirreno, con partenza da Genova, al Mare Adriatico con arrivo a Portogruaro. Il tratto che attraversava Goito era ed è tutt’oggi lungo circa 13 km: sulla destra Mincio, la strada proveniente da Gazoldo tocca Santa Maria ed arriva a Goito. Sulla sinistra Mincio il tratto è dato dalla strada Goito – Marengo – Roverbella – Mozzecane via via fino ad arrivare a Verona. In realtà questo tratto di strada è una deviazione avvenuta in secoli più recenti perché in origine il percorso da Goito si snodava attraverso Torre, Merlesco, Massimbona, Sei Vie, Villafranca, Verona. A questo proposito, La Via LEVATA cosi com’è tradizionalmente chiamata nel gergo popolare, attraversava Goito tramite il percorso dove poi (secoli e secoli più tardi) sorse la Villa Parco, per poi uscire a Massimbona nei pressi dell’antico Mulino, usufruendo di un guado sul fondo Merlesco.
L’importanza della Via Postumia ai tempi di Roma Imperiale è strettamente collegata a quella di altre strade che per la grandezza capitolina erano fondamentali. Infatti, per volere di Augusto le 48 strade d’Italia vennero rimesse in buono stato, facilitando il trasporto di legioni, ordini e notizie in tutto l’Impero. Goito, quindi, essendo situata su una di queste che tramandarono la memoria della potenza militare, assunse sicuramente grande importanza strategica.
VILLA BARDELLONA
Il suo nome deriva dalla località in cui sorge, retaggio degli antichi proprietari i signori Bardelloni. La villa è affiancata sulla sinistra da un corpo più basso, l’oratorio nato nel 1700 dedicato a San Carlo Borromeo, e da un altro che si connetteva ad un porticato a colonne doriche poi sulla destra sono presenti edifici in forme neogotiche. La Villa è caratterizzata da un prospetto della metà del 19° secolo.  È citata nel Catasto Teresiano del 1776 e nel Catasto Lombardo-Veneto del 1855 1864
La villa, recentemente restaurata, fu di proprietà dei conti Marioni, dei marchesi Grimani e della famiglia Moschini. Attualmente è di proprietà della famiglia Nuvolari.
CORTE DOSSI
Il nome deriva da “dorsus”, sporgenza, sopraelevata del terreno. Viene citata nel Catasto Lombardo Veneto del 1855-1864.
CORTE LORENZINA I e II
 a parecchio tempo orsono. Lorenzina I è presente nel Catasto Teresiano del 1776 e nel Catasto Lombardo Veneto de 1855-64. 
COSTA DELLA SIGNORA (o Costa dei Moschini)
Terrazzo fluviale a ridosso di una scarpata dell’anfiteatro morenico del Garda che segnala il confine del Parco del Mincio. Evidenzia caratteri naturalistici particolari con ricchezza di risorgive che alimentano fossi e canali del Mincio. Di grande rilievo paesaggistico.
CORTE BRESSANELLO _ Appartenne tra gli altri al Monastero delle Monache di San Giovanni.
BOSCO DEL VOLTO
Il Bosco del Volto è un’area verde di circa un’ettaro posta nella parte est di Goito, delimitata dalla S. S. Goitese ed adiacente a Via Zambelli. Abbandonato fin dai prima anni ’70 e duramente colpito da un fortunale estivo nel 1994 fu riprogettato dal goitese Remo Bertani mantenendo soggetti quali salice bianco, arbusti di sanguinello e rovi, pioppi ibridi, robinia gelso selvatico, alcuni rari biancospini e sambuchi creando al contempo alcuni ambienti naturali quasi scomparsi dalla Pianura Padana, quali prateria, bosco e zona umida. Al suo interno sono presenti due specchi d’acqua, aree di sosta con panchine, un sentiero in ghiaietto lungo 470 metri; nel 2000 sono state piantumate circa 1800 nuove piante.
Il bosco è raggiungibile tramite passerelle pedonali poste ai due ingressi.
CORTE SEGRADELLA
Corte posta in zona Segrada dove nel 1630 a causa di una epidemia di peste furono sepolte le 651 vittime della comunità conferendo a questi posti un’alone di sacralità. Nel 1825 apparteneva al Marchese Guerrieri. Citata sia nel Catasto Teresiano del 1776 che nel Catasto Lombardo Veneto del 1855-1864.
VALLE BURATTO
Luogo dove anticamente si praticava il baratto delle merci ed infatti il nome originario era valle dei Baratti. Nella corte è presente una torre colombara.
Citata nel Catasto Teresiano nel 1776 e nel Catasto Lombardo Veneto del 1855-1864. 
CORTE RESENASCO
Presente nel Catasto Teresiano del 1776 e nel Catasto Lombardo Veneto del 1855-1864. Appartenne tra gli altri alla prebenda parrocchiale di S. pietro di Goito, dell’ospitale di Mantova del collegio dei Padri Crociferi di S. Tommaso e del conte Cocastelli. Attualmente al suo interno è presente un bed and breakfast.
CATAPANE _ Presente nel Catasto Teresiano del 1776 e nel Catasto Lombardo Veneto del 1855-1864.
CORTE BARDELLETTA
Il nome deriva dal Mantovano ”bardella”, cioè rozza imbottitura che si fa sotto la sella senza arcioni. Nella zona è presente qualche toponimo derivato dal nome suddetto quali ad esempio Bardellino, Bardellotto. Corte Bardellazza e Corte Bardelletta sono citate sia nel Catasto Teresiano del 1776 e nel Catasto Lombardo Veneto del 1855-1864.
CORTE LOZZETTA _ Presente nel Catasto Teresiano del 1776 e nel Catasto Lombardo Veneto del 1855-1864.
MOTELLA _ Presente nel Catasto Teresiano del 1776 e nel Catasto Lombardo Veneto del 1855-1864.
CÀ VECCHIA GOBBI
Nome usto frequentemente nell’Italia centro settentrionale per indicare una casa colonica (abitaculum agreste) e l’eventuale proprietario.
LE FRAZIONI
CERLONGO
Il nome deriva forse da una lunga via con cerri, “quercus cerris” dalla boscaglie del cerretese. Si parla di Cerlongo anche in un documento dell’anno 846 affermando che è un eredita di Grimaldo figlio di Engilberto.
Chiesa di San Giorgio
Dedicata a San Giorgio, venne iniziata il 23 Aprile del 1723 su progetto di Giovanni Maria Barsotti, svizzero, lo stesso architetto della chiesa di Goito, Vasto, Solarolo. L’aspetto della chiesa è modesto e lineare; all’esterno, sulla destra si eleva lo slanciato campanile in cemento armato. Costruito recentemente, esattamente nel 1952, in sostituzione dell’originale risalente al 1694.
La facciata originaria fu abbattuta e ricostruita nel 1862 quando era parroco don Ottavio Daina. Presenta quattro semicolonne poggianti su di un basamento, al centro del quale vi è la porta d’ingresso architravata. Le semicolonne che sostengono l’architrave terminante con il frontone triangolare, sono sormontate da un capitello ionico.
All’interno la navata, che offre su entrambi i lati due bracci orizzontali della chiesa a croce latina, della medesima altezza, termina con il presbiterio e l’abside semicircolare. La navata delinea cinque campate voltate a tutto sesto, i cui sottarchi poggiano su un cornicione sostenuto dalle innumerevoli lesene in stucco colorato. Sulla destra del portone d’ingresso, c’è la porta e scala per salire alla cantoria, costruita nel 1757 dove è conservato un piccolo organo a mantici dello stesso anno. La prima cappella dedicata a San Giuseppe che racchiude la pala raffigurante “la morte di San Giuseppe”attribuita con ogni probabilità al pittore di scuola veronese Gianbettino Cignaroli. La seconda cappella,  è dedicata a S. Antonio che tiene tra le braccia Gesù.
Ritornando alla navata, appesa alla parete, prima della balaustra, si scorge una piccola tela raffigurante la Vergine con il Bambino tra le braccia che dovrebbe risalire alla seconda metà del 1700. Proseguendo, una balaustra di marmo bianco, rosso e nero, aperta al centro, conduce al presbiterio, dove spicca l’altare in marmo policromo di notevoli dimensioni con mensa e tabernacolo. Analizzando attentamente la Chiesa, scorgiamo sulla parete di destra un quadretto raffigurante la Fede, e altri due piccoli dipinti ad olio su tela raffiguranti gli evangelisti Matteo e Giovanni attribuibili alla scuola di Giuseppe Bazzani. Sulla parete sinistra è appesa una tela dipinta ad olio raffigurante S. Francesco in adorazione del Crocefisso dipinta da ignoto.
Frontalmente è invece appesa una tela, dipinta ad olio dal pittore vicentino Bartolomeo Dall’Acqua prima del 1738, raffigurante “la samaritana al pozzo con Cristo”.
Il coro in legno di noce, realizzato nel 1753 è situato nell’abside; formato da 14 stalli con sedili e inginocchiatoi è opera di un artigiano della zona, fu restaurato dai fratelli Facchinetti di Cerlongo. Al centro della parete racchiusa in una cornice dorata vi è la tela dipinta ad olio da Bartolomeo Dall’Acqua prima del 1738 raffigurante “S. Giorgio e il Drago”.
La terza cappella dedicata alla Beata Vergine, offre un altare in marmo policromo del 1753 e una statua in gesso della Madonna. Il tabernacolo è in legno dorato. La quarta ed ultima cappella è invece dedicata a San Luigi e conserva in una cornice in stucco, una tela che rappresenta la Vergine che schiaccia il capo al serpente, mentre in basso S. Luigi la invoca.
Castello dell’Incoronata
CENNI STORICI
Complesso architettonico dal gradevole effetto scenografico. La denominazione è recente ma la sua storia parte da lontano e se pur certo più frutto di deduzioni che documenti legati alle vicissitudini cerlonghine.
Probabilmente nel sito esisteva già un’edificio nel XV sec. , ma un documento certo si rintraccia nel Catasto Teresiano del 1776 del Comune e dei suoi colonnelli (frazioni), dove a livello cartografico si può vedere una contrada ben delineata e simile all’attuale con le ripartitore dei comparti, corti, coltivi e destinazioni d’uso perfettamente coincidenti.
Nel mappale 1913 si riparte la proprietà di Scaratti Vincenzo e Filippo di casa e corte in parte di villeggiatura e in parte casa e corte appunto ad uso masserizio.
Seguendo le notizie storiche intorno al succedersi dei proprietari si può trarre qualche informazione anche e proprio in funzione della lettura dello stato e delle trasformazioni apportate nel tempo allo stabile. Negli inventari parrocchiali si parla della costituzione e benedizione dell’oratorio pubblico, edificato attiguamente nel luglio 1838 dalla nobile famiglia Cocastelli, dedicato alla presentazione al Tempio di Maria.
Un documento dell’archivio parrocchiale cita il nome dei proprietari del palazzo nel 1858: la corte Cocastelli include i numeri civici dal 295 al 306, il numero 302 indica il Palazzo patronale di villeggiatura abitato dal Conte Reginfrido Cocastelli e famiglia, vi risiedono pure il cuoco, il cameriere, il carrozziere, la guardarobiera, la donzella e la balia. Il numero 305 è abitato dal curato Don Biagio Ribolla e gli altri dal contadino.
Il conte divenne deputato dal regno Lombardo – Veneto e nel marzo 1860 sindaco del Comune di Goito nel Regno d’Italia.
Il passaggio di proprietà ai nobili Conti Magnaguti non è documentato ma dovrebbe risalire agli ultimi decenni dell’800 probabilmente per matrimonio con una figlia del Conte Cocastelli.
A tal proposito sul pavimento a mosaico è posto l’emblema araldico della famiglia Magnaguti: una cicogna tenente nel becco un serpentello verde. Nel 1866 Vittorio Emanuele Secondo soggiornò nel palazzo cosi come testimonia una lapide interna. A metà del 1950 circa il complesso fu ceduto alle Suore dell’Incoronata per poi essere recentemente acquistato dal Comune di Goito.
DESCRIZIONE
L’impianto più antico del complesso sembra essere riconducibile a metodologie costruttive locali, ma già in uso nel periodo pre – rinascimentale.
L’edificio a sviluppo in gran parte orizzontale si erge di poco rispetto ai corpi di fabbrica che lo serrano ai lati. Strutturato su due piani sovrapposti, uno di servizio basso, uno rialzato nobile, di rappresentanza. È caratterizzato da segnatura in elevazione del corpo centrale con timpanatura nella facciata interna, e con tre bastioni e fronte merlato di tipo guelfo sulla strada. Gli elementi architettonici presenti potrebbero ricondurre a canoni stilistici seicenteschi ma alcuni elementi la rendono probabilmente un’opera tardo settecentesca o ottocentesca.
L’innesto dei bastioni, uno maschio centrale e due laterali, potrebbero risalire alla seconda metà dell’800, forse già dai Conti Magnaguti sull’onda del fiorire dello stile neogotico in sintonia con la coincidente edificazione della chiesa parrocchiale di Sermide (1869/1874), da dove la nobile famiglia proveniva e manteneva poteri, possedimenti e nobile dimora. Nel portalino sono presenti elementi architettonici originali recuperati dai Cocastelli dalla chiesa demolita di S. Domenico a Mantova.
La chiesa della Madonna di Mezza Campagna
Questa Chiesa non fa parte del territorio goitese ma sorge a pochi metri da Cerlongo ubicata verso Cereta. Essa è dedicata alla Madonna del Carmelo a cui è consacrata da oltre dieci secoli; l’edificio presenta la struttura tipica delle pievi Medioevali, formati da un corpo di fabbrica rettangolare, da un tetto a capanna e da un rosone “strombato” sulla parete della facciata, l’originale abside semicircolare e le due piccole absidi adiacenti furono sostituite nel 1618; la costruzione della nuova abside di forma quadrangolare, con volta a botte abbellita da pregevoli stucchi portò alla sopraelevazione della Chiesa. La navata presenta al suo interno dipinte sulle pareti pregevoli tracce della sua storia devozionale, su più livelli, dopo il recentissimo restauro sono chiaramente visibili i cicli duecenteschi dell’ Ultima Cena e della Crocifissione e gli affreschi quattro – cinquecenteschi che mostrano varie rese iconografiche della Madonna della neve; le varie epoche e quindi le varie stratificazioni diversificano gli affreschi anche per funzione, i primi infatti sorgevano ad un ruolo di tipo catechistico, mentre i secondi e i successivi avevano una simbolicità votiva e devozionale. Nel 1667 inoltre fu aggiunto a fianco dell’abside un pregevole altare barocco dedicato a S. Fermo.
Cà Vecchia Cerlongo – Cà I – Cà II
Il conte Federico Cocastelli era proprietario di molti terreni in particolare nella zona di Cerlongo e Vasto. Queste corti furono tutte di proprietà di questa famiglia nobile.
Paioletta Bondi: citata nel Catasto Teresiano del 1776 e nel Lombardo – Veneto del 1855/1864.
Paioletta : insieme alla Corte Paioletta Bondi fu gestita tra gli altri dai Padri Benedettini che erano proprietari in questa zona di altre 100 biolche di terra.
VASTO
Chiesa di San Bartolomeo Apostolo
Venne iniziata nel 1720, quasi completamente terminata nel 1725 e conclusa con il coro nel 1729. Progettata dall’architetto Giovanni Maria Borsotti, ha struttura interamente in cotto, esternamente intonacata. Sulla sua sinistra abbiamo il campanile, mentre a destra la sagrestia. La facciata appare a quattro lesene a doppio ordine con una finestra bifora. La pianta definita mistilinea presenta una navata centrale, due cappelle laterali e termina con presbiterio e coro semicircolare. La Chiesa è piuttosto decorata con stucchi nel suo interno realizzati dal mantovano Giacomo Galli nel 1729. troviamo nel suo interno la statua in stucco di Sant’Agostino, il quadro ovale rappresentante Gesù nel Getsemani, le statue di S. Bruno e S. Antonio da Padova nella Cappella laterale, e una bellissima Pala cinquecentesca attribuibile con ogni probabilità alla scuola di Raffaello. Questa tela rappresenta la Madonna col bambino sulle ginocchia e due Angeli che le sostengono la Corona, mentre ai lati ci sono S. Giovanni Evangelista e S. Bruno. Separato dalla navata da una balaustra di marmo, troviamo il presbiterio nel quale è situato l’altare maggiore con il tabernacolo, e una cornice ovale in stucco in cui è racchiusa una Tela raffigurante S. Luca. Nella navata centrale è situata la statua in gesso di S. Gregorio e un ovale del 1730 raffigurante S. Marco dipinto da Giuseppe Bazzani. La seconda Cappella laterale, dedicata alla Beata Vergine del Carmine ospita la statua della Vergine attorniata da una cornice e da Angeli in stucco, la statua in gesso di S. Francesco di Sales e quella di S. Filippo Neri. Da non sottovalutare la presenza di 14 bellissime acqueforti raffiguranti la Via Crucis disegnate da Luigi Sabatelli e un preziosissimo ostensorio d’argento del 1700.
Corte del Vasto
Corte che rappresenta al meglio la tradizione edilizia della zona che è quella della grande corte con la casa quadrata o rettangolare, con torre colombara centrale alta circa il doppio (con funzione di vedetta e avvistamento). Questo tipo di struttura con la struttura che può fungere in parte anche da deposito, è influenzata dal modello toscano. Alcuni elementi araldici testimoniano la presenza storica dei Gonzaga. Viene citata nel Catasto Teresiano del 1776: in questo, molte proprietà erano di pertinenza di ordini religiosi,famiglie nobili e con minore entità di ordini civili. Nelle zone di Vasto, S. Lorenzo,Cerlongo,Solarolo i nomi piu’ ricorrenti sono: Monaci e Monastero della Certosa di Mantova.
Il Mulino del Vasto
Posto in zona quasi adiacente alla corte, fu gestito fin dai secoli scorsi da famiglie di tradizione mugnaia goitese, quali gli Alboini, i Facchini, gli Angelini. Attualmente è in disuso e fatiscente.
Corte le Casse _ Citata nel Catasto Lombardo – Veneto del 1855/64.
Corte Palazzetto Vasto – Corte Caselle – Corte LevadelloCorti presenti nel Catasto Teresiano nel 1776 e nel Catasto Lombardo – Veneto del 1855/64.
SACCA
Corte Santa Maria – corte S. Maria maggiore e minore
Il nome è risalente all’anno 1000, quando esisteva una chiesa detta S. Maria in Caldone donata dalla Contessa Matilde di Canossa ai Monaci Benedettini di S. Genesio da Brescello. In questa zona sono stati trovati resti di una chiesa effettivamente molto antica. Le corti sono citate del Catasto Teresiano del 1776 e nel Catasto Lombardo Veneto del 1855. fino al 1805 era in uso alle Monache di S. Barnaba. In documenti antichi nel 1044 si attesta una donazione, fatta da Gimexa de Beato, moglie di Manfredo di origine Longobarda a beneficio della suddetta chiesa relativa a terreni situati sul sentiero Paradiso, poi più noto come Caldone.
Corte Mussolina
La corte presenta al suo interno un’oratorio costruito nel secolo XVIII dedicato a S. Carlo Borromeo. È presente un’unica tela che funge da pala d’altare raffigurante nella parte superiore la S. S. Trinità e nella parte inferiore San Carlo insieme a diverse suore in preghiera. Attualmente dell’oratorio è proprietaria la famiglia Galtrucco.
La corte è presente sia nel Catasto Teresiano del 1776 sia nel Catasto Lombardo Veneto del 1855/64. recentemente due studentesse della facoltà di architettura di Mantova hanno presentato un’ipotesi di lavoro per il suo recupero e la riqualificazione. Nei pressi della corte è situato un pozzo geotermico la cui acqua si è scoperto avere proprietà curative tanto da far diventare il luogo centro di cura termale.
Lodola e Malpensa
Sono entrambe corti appartenenti al territorio di Rodigo, il percorso ciclopedonale le attraversa,in uno scorcio tranquillo e bucolico, per poi rientrare in ambito goitese.  verso la frazione di Sacca. Appartennero alla chiesa di Rodigo e a S. Pietro di Mantova.
SACCA (Il Borgo)
La borgata di Sacca è di origine assai antica, l’ etimologia della parola è spiegabile secondo due differenti versioni.
La prima sceglie la strada dell’ ubicazione geografica del paese, infatti proprio in quel luogo il fiume Mincio assume una forma “a sacca”. La seconda vuole che il nome assunto sia da ricondurre alla presenza di una ricca famiglia del contado mantovano, i Sacca appunto che avevano molte terre feudali estese nella zona che porta il loro nome attualmente. Al centro della frazione sorge l’oratorio dedicato alla Medaglia Miracolosa della Madonna, realizzato nel 1967 dalla famiglia Galtrucco ora donato alla parrocchia di Goito.
La necropoli longobarda di Sacca
Fin dal 1968, nella zona di Sacca di Goito, vennero alla luce alcune sepolture longobarde, ma la maggior parte dei ritrovamenti è stata effettuata a partire dal 1991. Le scoperte sono avvenute soprattutto durante lavori di escavazione ed estrazione di ghiaia, a cui seguirono lavori regolari diretti scientificamente dalla Soprintendenza Archeologica per la Lombardia. Lo scavo più interessante portato a termine finora è quello dell’area posta presso la strada Mussolina. Qui sono state messe in luce 240 tombe, alcune costituite da semplici fossi in terra, altre con la struttura in ciotoli o in laterizio. Le tombe sono poste più o meno affiancate in linee parallele, con un’ andamento nord/sud. I defunti erano posti normalmente con le braccia poste lungo i fianchi. Alcune sepolture recano oggetti di corredo che le identificano decisamente come di longobardi, mentre altre dovettero contenere i resti di persone appartenenti alla popolazione autoctona. Benché i reperti ritrovati non siano tra i più preziosi che ci siano giunti dal mondo longobardo, tuttavia sono degni d’interesse e permetteranno di capire meglio la storia alto-medievale di Goito.
Si tratta in maggioranza di armi e oggetti di armamento: scramasax, bracciali e collanine oppure oggetti quali coltelli e secchielli. Presumibilmente questi reperti risalgono al VI- VII sec. , ed erano custoditi nel Museo della Sovrintendenza Archeologica di Milano mentre ora sono collocati presso il Museo Archeologico di Mantova che ha sede presso il mercato dei Bozzoli ora in fase di completa ristrutturazione. Di recente nei pressi della necropoli sono stati rinvenuti resti di una chiesa medioevale ancora da decifrare.
Corte Teni – Galtrucco _ Situata nel centro storico della borgata, appartenne tra gli altri al marchese Girolamo Arrigoni.
Corte Bell’Acqua di sopra
Fu proprietà dei Gonzaga, vide la propria derivazione da modelli feudali, oltre ad un riferimento rinascimentale. Infatti il palazzo padronale fu edificato probabilmente nella seconda metà dell’ 1500,e più precisamente verso il 1580, nel quadro del rinnovamento dell’attività agricola del tempo e nel quadro culturale del Rinascimento mantovano ispirato dal suo caposcuola Giulio Romano.  Dalla sua posizione si può vedere di fronte Corte Brolazzo.
Oltre alle consuete attività rurali, si praticavano la pesca il pascolo ed era presente il Mulino, risalente anch’esso ad epoca gonzaghesca, al servizio del quale si deviò un’ apposito cavo delle acque del vicinissimo fiume. Corte Bell’acqua di sopra si può inserire nell’ambito delle ville minori, residenze padronali delle corti agricole situate nella campagna in condizioni di rapporto diretto con l’ambiente naturale. Suoi proprietari, tra gli altri furono Pirro Gonzaga, Alfonso Felice di Avalos d’Acquino, marchese del Vasto, poi Vincenzo Gonzaga la donò ad Agnese Argotta marchesa di Grama e anche ai marchesi Capilupi. Stemmi araldici interni testimoniano la presenza di famiglie nobili quali appunto Capilupi, Strozzi, Todeschini. Citata nel Catasto Teresiano del 1776.
Mulino di Bell’Acqua
La sua edificazione risale, come la corte, ad epoca gonzaghesca. L’anno di riferimento È il 1602. Si deviò un cavo per suo servizio, dalle acque del vicinissimo fiume Mincio.
Corte Bell’Acqua di sotto
Il suo nome. Così come quello della sorella Bell’Acqua di Sopra, deriva dall’incantevole posizione lungo il Mincio. La Chiesa di S. Pio V costruita nel 17°sec. , ridotta a porticato, venne costruita sul territorio dell’antica corte agricola. Fu proprietà del conte Paolo Todeschini di Mantova. Viene citata nel Catasto Teresiano del 1776, attualmente è di proprietà della famiglia Galtrucco.
Appartenne al marchese Giuseppe Bianchi.
Corte Calderina o Corte Mulino _ Citata nel Catasto Lombardo Veneto del 1855/1864.
Camignana _ Il Mulino di Camignana, oggi assai arretrato rispetto all’originario corso del Mincio, è rappresentato nella mappa di Rodigo del 1598.
La Quercia di Sacca
Un bellissimo esemplare di quercia (quercus robur) con circonferenza m. 4. 83 ed un’altezza di m. 24. Questa farnia gigantesca è sicuramente uno degli alberi più belli del mantovano ed è forse un residuo delle antiche foreste dove andavano a caccia i Gonzaga. Secondo gli esperti non si sarebbe ancora sviluppata completamente. Il perfetto equilibrio della sua chioma, circa 36m. di diametro, la rende un perfetto elemento scenografico per una foto d’autore.
Corte Casella _ Il nome deriva dal latino, ovvero piccolo casolare. È citata nel catasto Teresiano del 1776.
Calliera (una delle frazioni di Goito)
Posta vicino a Sacca, non distante dai ritrovamenti archeologici.
Il nome probabilmente deriva dal latino Callis-is e cioè callaia, viottola. Da non escludere la provenienza dal cognome Callieri diffuso a nord, o Caligaro colui che ripara o vende calzature. Secondo lo studioso di toponomastica, Pietro Pelati, il sito era chiamato anticamente Casalico dei Longobardi.
Cà Dell’Orso
Una leggenda vuole che da queste parti ci fosse un bosco e al suo interno vivesse appunto un orso, quindi per questo motivo il sito venne chiamato Casa dell’Orso.
Galella
Pare essere appartenuta alla famiglia Calella nel 1614 appariva un Signor Galella, il cui discendente Giacomo ricevette un’investitura dai Padri del Convento di S. Pietro in Goito.
Cà Franchini (Franchino)
Il territorio goitese fu abitato fin dal 12°sec. A. C. , come dimostrato da un’ insediamento del Bronzo finale, apparso durante lo scorticamento del terreno nei pressi di Cà Franchini. Qui sono state trovate spille, perle, resti di ceramica, vasi biconici, olle, ecc. ecc. ed inoltre alcune tombe romane dotate di modesto corredo. Il nome Franchini proviene dagli antichi proprietari del 1775.
Castelvetro
A Castelvetro e nei dintorni del cimitero di Goito si sono trovate diverse ricchezze, tra le quali una catenella d’oro con un grande cameo in lapislazzuli raffigurante Minerva. Qui sono state trovate opere murarie di grande dimensione.
La maggior parte delle tombe era posta ai lati della Via Levata (nome della Postumia) in epoca medievale. Probabilmente lungo questa via sorgeva un accampamento nei pressi del guado del Fiume Mincio sostituito poi dal Castrum Goddi. Il nome deriva dalla denominazione romana, cioè Castelvetro, Castel Vecchio. Da qui dovrebbero partire alcuni cunicoli sotterranei che portano fino alla zona dell’attuale cimitero.
Corte Guà _ Il Guà, era l’antico guado (dal latino vadus) esistente in tempi antichissimi, ancora prima che nascesse il ponte. Da qui si traghettavano i passeggeri.
Corte Casale _ Il nome deriva da “casalis”, cioè case abitate d servi o coloni, oppure gruppo di case coloniche.
Corte Sacchetta
Costruita negli anni ’80 del 16°secolo da Guglielmo Gonzaga come residenza per sé e per la sua famiglia, l’impostazione è quella del Palazzo Rinascimentale come residenza, senza velleità difensive pur mantenendo, per la presenza di torri agli spigoli, un’impostazione ed un’impronta castellana. Fu edificata su vecchie fondamenta romane, testimonianza insieme ad altri ruderi e reperti del periodo Romano (soprattutto vicino alla Postumia). Le sale erano ornate con dipinti del Sanvito, Borganti,Ghisi eAndreasino (quadro della vittoria di Fornovo ) tutti distrutti dal tempo. Nella sala d’ ingresso sono presenti affreschi che riecheggiano Thomas More (castello prospiciente il mare e l’arrivo di una galea). Nell’ ovale sono presenti: un idillio campestre, tre affreschi che descrivono il cortile basso e le arcate del castello medioevale, una raffigurazione di selve tenebrose con influenze fiammingo-venete. Al primo piano è presente un affresco sulla Sacra Famiglia; in un’ altra sala un angelo al centro del soffitto con altri due di fianco ascrivibili al realismo rinascimentale. Tutta la corte e gli affreschi sono stati oggetto di una recente restaurazione. Sacchetta citata sia nel Catasto Teresiano del 1776, sia nel Catasto Lombardo- Veneto 1855-1864.
Lungomincio degli Arimanni
Diviso dal Lungomincio Marconi e dal Ponte della Gloria,costeggia il fiume per un lungo tratto fino a corte Guà. Qui nel silenzio e nel verde si possono osservare sull’altra sponda la villa Giraffa, la Rassega, fino ad arrivare appunto al Guà e proseguire. Dopo la piccola cascata del Mincio, i canoisti sono soliti attraccare, prima di ripartire verso Rivalta.
Gli Arimanni (in germanico, uomini dell’esercito) presso i Longobardi erano la classe dei guerrieri,proprietari di terre ereditarie ed inalienabili, residenti in guarnigioni stabili poste in località di importanza politico-militare; le terre venivano concesse dallo stato come compenso a base economica per le prestazioni militari. Nella società longobarda erano considerati gli unici uomini legalmente liberi ed intervenivano nei giudizi sotto la direzione di un funzionario regio (sculdascio) per proporre la sentenza. Nel periodo comunale-1115-1274- gli Arimanni divennero signori di Goito e da nobili campagnoli fissarono la loro dimora presso il Castello. Una delle personalità più illustri fu Poma Visconti vissuta nel 11° sec.. Appartenne al nobile Casato Visconti, vedova in giovane età convertì un suo palazzo in Mantova in un monastero di suore benedettine ritirandosi a vita umile e penitente. Morì nel suo ritiro nell’anno 1105. 
SOLAROLO
Solarolo occupa la porzione Sud – Ovest del Comune di Goito, ai confini con Ceresara e Rodigo.
L’area di pertinenza è di circa 14 chilometri quadrati suddivisi per il 90% nel Comune di Goito e per il 5% rispettivamente dei Comuni di Ceresara e Rodigo.
La popolazione è complessivamente di 670 persone e ricade dal lato amministrativo per il 90% nel Comune di Goito e per il 5% nei Comuni di Ceresara e Rodigo.
Dal lato religioso la quasi totalità della popolazione appartiene alla Parrocchia di Solarolo e solo un 6% alla Parrocchia di Villa Cappella.
CENNI STORICI
La nostra piccola comunità affonda le sue radici nell’alba della storia umana. I primi abitanti avevano fondato, già nel II – III millennio a.C., nell’età del bronzo, un villaggio di capanne nella zona leggermente rialzata situata tra l’incrocio di strada Cà Bianca con strada Santa Maria e la corte Castenedolo. Ai piedi di questo piccolo dosso scorreva un corso d’acqua con acqua sorgiva che si snodava fino a confluire nello scolo Corgolina. I reperti rinvenuti nell’area ( area purtroppo fortemente compromessa da lavori di livellazione agricola alla fine del 1958) testimoniano di una comunità primitiva abbastanza numerosa essendo il villaggio esteso su oltre 30.000 metri quadrati. Nei canali di scolo sono numerose le tracce di focolari mentre in superficie, sono stati raccolti numerosissimi reperti: selci e cocci di vasellame dell’età del bronzo; dalle testimonianze raccolte si è riferito di un dosso di “pignatte” cioè di ciotole di varia misura pressoché ancora integre al momento dell’intervento di livellamento. Da questa zona provengono numerosi resti di ossa, unghie di animali (maiali) ed anche di impalcature di corna di cervi. Il reperto più importante è un ascia del bronzo.Altre tracce legate all’uomo primitivo si sono rinvenute tra le rive del Solfero e l’attuale strada Provinciale a circa un chilometro dalla Postumia.
Si trattava quasi certamente di popolazioni indigene di Cenomani o Veneti, trovandosi la nostra area al confine tra le due zone d’influenza. Queste popolazioni erano dedite prevalentemente alla caccia e alla pesca in ciò favorite dall’ambiente di boscaglia con risorgive che dovevano originare piccoli stagni. Nel I millennio a queste popolazioni si sovrapposero sicuramente i Galli e forse anche gli Etruschi ma le testimonianze più frequenti risalgono al periodo romano.
La Chiesa
La Chiesa parrocchiale, dedicata a S. Margherita Vergine e Martire, costruita in poco più di 6 mesi quando La Chiesa parrocchiale, dedicata a S. Margherita Vergine e Martire, costruita in poco più di 6 mesi quando era parroco don Giacomo Gasapini (deposizione della prima pietra il 13 aprile 1817, benedizione il l° novembre 1817 ), fu realizzata su progetto dell’architetto Giovanni Battista Marconi.
Sorge al posto della Parrocchiale precedente, demolita nel 1815, e fu eretta sotto la guida del capomastro Giacomo Bovi, con il concorso attivo dei parrocchiani dell’epoca.
La costruzione, in pietra cotta a vista, presenta la facciata ricoperta in marmo fino all’altezza del cornicione, mentre la parte alta ed il campanile, che é addossato sulla destra, sono intonacati. Il rivestimento in marmo travertino, avvenuto nel 1937, é opera degli artigiani locali Aldo e Romolo Venturini; questo forma cinque assi: in quello centrale si apre la porta d’ingresso architravata e sormontata da una lapide riportante il periodo di realizzazione della chiesa. Lateralmente il rivestimento forma quattro specchiature: le due centrali ospitano delle nicchie in corrispondenza di due finestre ora chiuse. Al di sopra del cornicione, tra le due svecchiature, abbiamo, centralmente, una finestra contornata da un semicerchio rilevato e poi un frontone triangolare, nel cui timpano é aperta una finestra circolare.
Di gusto neoclassico, é formata da una sola navata con due cappelle laterali, dal presbiterio e dall’abside semircolare. La volta della navata evidenzia le strutture portanti del soffitto, dove le paraste e le lesene laterali, congiungendosi, lo dividono in cinque settori: due in corrispondenza delle quattro finestre laterali poste sopra il cornicione, uno in corrispondenza della cappella e due intermedi. Internamente la chiesa, di medie dimensioni (lung. m. 21 – larg. m. 16 – alt. m. 12) é, fatta eccezione per il coro, tutta rivestita in marmo rosso di Verona per un’altezza di m. 2,20. Il lavoro di rivestimento fu realizzato negli anni 1947-48-49 . Oltre il portone d’ingresso in legno, sulla destra, si trova un’acquasantiera in marmo bianco e subito oltre, nella parete laterale, si apre la porta d’accesso alla cantoria, inaugurata il 20 luglio 1946, opera in legno dell’artigiano locale Ulderico Mattioli su progetto dell’ing. Chino Zanini.
Incassato nel muro, si trova un confessionale ottocentesco a tre stalli in noce, e, poco più avanti, separata dalla navata da una balaustra in marmo, si incontra la Cappella della Madonna del Rosario.
L’altare della Madonna, modificato ed arricchito in marmi nel 1937 , presenta nel paliotto sotto la mensa una statua in gesso di Cristo morto, mentre al di sopra, tra due gradini in marmo, é posto, a forma di tempietto, il tabernacolo disegnato da Giovanni Battista Vergani nel 1831 per l’altare maggiore e qui trasferito nel 1955, allorché fu realizzato l’attuale tabernacolo dell’altare principale ). Al di sopra, tra le due lesene e l’architrave in legno colorato, in una nicchia che fa da fondale, é posta la statua in gesso della Madonna del Rosario.
Proseguendo, si incontra la porta, da cui si accede alla Cappella di S. Antonio. Questa, coeva della Parrocchiale, originariamente, fungeva da sagrestia.
Nel 1925 fu costruita, tra il campanile e la cappella, come sala delle riunioni, quella che é poi divenuta, dal 1941, l’odierna sagrestia. Ciò ha permesso, il 13 giugno 1941, di ultimare la Cappella di S. Antonio con l’altare opera di Romolo Venturini. Nella sagrestia, arredata con un grande armadio e due cassettoni dell’800 in noce lavorato, sono conservati l’ostensorio e due calici in oro ed argento del XIX secolo.
Ritornati nella navata, sopra l’apertura, si trova un quadro, dipinto ad olio su tela di autore ignoto e donato alla chiesa dai Conti Solferini di Solarolo ). La tela, databile alla fine del 1700, rappresenta la Vergine col Bambino Gesù assisa su una nube ed in basso quattro Santi: sulla destra S. Luigi Gonzaga e S. Antonio da Padova, sulla sinistra S. Domenico e S. Margherita.
Si accede poi al presbiterio, ai cui lati sono ubicate due Cappelline che vi si affacciano con grandi aperture, e al centro, al limitate del coro, è posto l’altare maggiore eretto nel 1831, come confermato dalla scritta incisa nel marmo.
L’altare, realizzato in marmo bianco con specchiature di dimensioni variabili in marmo rosso, fu disegnato dall’architetto Giovanni Battista Vergani ed ha subito, nel tempo, notevoli trasformazioni che lo hanno ridotto ora ad un unico blocco di marmo bianco, con paliotto rosso, rialzato su tre gradini. Dapprima, nel 1955, fu sostituito il tabernacolo primitivo con uno in onice di più grandi dimensioni, a forma ottagonale, arricchito di bronzi raffiguranti momenti della vita di Cristo; poi, nel 1975 , furono tolti i tre gradini, che si alzavano dalla mensa, e lo stesso tabernacolo in onice, che ora é posto su un piedestallo al limitare sinistro della navata.
Sulla parete sopra l’apertura che si affaccia alla Cappellina di destra, é collocato, all’interno di una semplice cornice, un quadro ad olio su tela del 1600 , di gusto popolare, proveniente dalla vecchia Chiesa parrocchiale.
Il dipinto, di modesta fattura, il cui autore é ignoto, rappresenta, nella parte superiore, la Madonna del Rosario su una nube ed in basso, a destra, S. Margherita e, a sinistra, S. Domenico in atteggiamento orante.
All’inizio del semicerchio absidale una porta conduce alla Cappella di S. Antonio e, subito dopo, inizia il coro, composto da 12 stalli e la cattedra con i relativi inginocchiatoi. Il coro, in noce lavorato, é un’opera del 1842 degli artigiani locali Carlo Rinaldi e Carlo Maregnani. Al di sopra, al centro della parete, é appesa una tela ottocentesca di grandi dimensioni, il cui autore é ignoto, raffigurante S. Margherita tentata dal drago, dove la Santa é in adorazione dell’Ostensorio.
Prima del presbiterio, una porta laterale conduce all’esterno e poi si apre la grande apertura che collega con la Cappellina laterale, al cui interno c’é una delicata immagine della Madonna dipinta su tela, databile al secolo XVIII di buona fattura e di autore ignoto. Il dipinto, raffigurante la Mater Misericordiae, originariamente era posto nella Cappella del Sacro Cuore ed é stato collocato nell’apposita cornice, incastonata nel muro, nel novembre 1948.
Al di sopra dell’apertura, fissata alla parete, all’interno di una cornice di legno lavorato, é posta una bella tela seicentesca della Madonna Assunta (18). Il dipinto ad olio, di autore ignoto, dimostra una certa maestria, specie nel movimento dei quattro Angeli che sostengono la Vergine, e proviene dalla Chiesa parrocchiale cinquecentesca.
Ritornando nella navata, la parete sinistra presenta, dopo la porta che conduce al pulpito, costruito in legno a specchiature e sormontato dal baldacchino e coevo della Parrocchiale, la Cappella del Sacro Cuore di Gesù.
Questa, separata dalla navata da una balaustra in marmo bianco, presenta centralmente l’altare, rinnovato nel 1937. Fino a tale periodo l’altare, costruito parte in legno e parte in cotto, era dedicato all’Immacolata Concezione. Ora il paliotto e la mensa sono in marmo, mentre i due gradini che vi stanno sopra, il tabernacolo, le lesene laterali e l’architrave del fondale sono in legno colorato. Nel fondale é posta la statua in gesso del Sacro Cuore acquistata dalla Ditta Gheduzzi di Verona nel 1937.
Avviandosi all’uscita, si trovano il secondo confessionale in noce incavato nella parete e poi la porta del piccolo battistero.
Il battistero presenta una statua un gesso, realizzata nel 1941, dal pittore Pittozzi, raffigurante San Giovanni Battista ed il fonte battesimale, in onice verde del Pakistan, con coperchio in rame sbalzato, opera completata nell’anno 1970, dallo scultore Gino Lanzaghi. Da ricordare, infine, la Via Crucis, in gesso, acquistata dalla Ditta Gheduzzi di Verona il 25 novembre 1941.
La Torre Gonzaghesca
L’edificio risale probabilmente al XV secolo e faceva parte di un più ampio complesso, una corte di epoca gonzaghesca, probabilmente utilizzata come stazione di sosta per i cavalli. L’esistenza di tale complesso era testimoniata fino a pochi anni or sono dalla presenza di un tratto di porticato dell’epoca, ora purtroppo completamente snaturato.Comunque all’epoca lo stabile era utilizzato come piccionaia.
L’esterno è in cotto a vista, mentre l’interno è diviso in tre piani ancora sostenuti dalle travi originarie, i primi due sono intonacati, mentre al terzo si possono ancora osservare le nicchie con pietre a vista utilizzate appunto per la nidificazione dei volatili.
Dopo un lungo restauro concluso una decina di anni fa, l’edificio riportato allo stato attuale è utilizzato quale sede del Circolo Culturale Solarolese.
Di rilievo la presenza in paese di Palazzo Sagramoso elevato a questo rango da questa nobile famiglia di conti che lo abitarono dagli anni ‘30. 
MAGLIO
Corte Romanino e Belvedere _ Citate entrambe nel catasto Lombardo-Veneto del 1855/1864.
Corte Romanello
All’epoca di Lodovico Gonzaga tra le varie cose, sorsero alcuni fornaci per la cottura dei mattoni e della calce. Queste erano situate in prossimità del Mincio e del Naviglio; una delle più importanti era posta in Romanello, dove l’ingegner Giovanni da Padova aveva ricevuto parecchi appezzamenti donati dal marchese. Citate nel catasto Teresiano del 1776 e nel Catasto Lombardo Veneto del 1855/1864.
Corte Polesine
In questa corte nei secoli scorsi erano presenti coltivazioni di riso che coprivano il fondo per tutte le sue 25 biolche. Nel 1883 a Goito le risaie avevano un’estensione di 100 ettari, un valore sempre più decrescente fino ad arrivare al 1902 quando non esistevano più. Nel 1835 la corte apparteneva alla famiglia Boselli, proprietaria di vari fondi nella zona. Citata nel Catasto Teresiano del 1776 e in quello Lombardo Veneto del 1855/1864.
Corte Palazzetto
Corte antica di proprietà gonzaghesca. All’interno del fabbricato era esistente una piccola conceria di pelli che i nobili aiutavano a incrementare aprendo una bocca dal naviglio nell’ anno 1603. Citato nel catasto Teresiano e nel Lombardo Veneto del 1855/1864.
Corte Buonmercato
In una lettera datata 2/12/1466 inviata da Andrea Mantegna al Marchese Ludovico Gonzaga, il grande artista accenna alla possibilità di costruirsi una “Chasetina suso quel mio logeto”, potendo avere un prestito di cento ducati dal nobile.
Questa casetta da costruire sul suo loghino (logeto),cioÈ piccolo podere, corrisponde alla Corte Buonmercato.Il paese di Goito e il suo territorio dovevano essere ben conosciuti da Mantegna che aveva lavorato nella Rocca dei Gonzaga dove egli godeva di buoni favori concretizzati da varie donazioni di terreni.
Un punto dove trovare riposo , questa era la volonta’ del pittore che il lavoro del famoso ingegnere Giovanni da Padova ,molto probabilmente su preciso ordine di Lodovico,tese a migliorare e a rendere più dignitoso. La casa venne finita presumibilmente nella seconda metà della decade successiva; il fondo, come si evince dalle varie lettere scritte da Giovanni al Marchese, era ricco di vigneti che producevano un’ottima qualità di vino. L’importante presenza di Andrea Mantegna in territorio mantovano fu dovuta all’opera di persuasione del suo concittadino Giovanni da Padova a cui era legato da salda amicizia.
È in atto la sua ristrutturazione in modo simile a Villa Giraffa e Rassega , così da formare un gruppo residenziale che possa accogliere allo stesso tempo turisti e studenti dei corsi accademici che dovrebbero tenersi in un futuro prossimo in Villa Giraffa.
Villa Giraffa
La sua storia prende inizio attorno al 1500. Infatti , nell’ agosto 1509 allorquando stava tentando la conquista di Isola della Scala, il Marchese di Mantova Francesco Gonzaga venne catturato nel sonno dalle truppe veneziane del capitano della Serenissima Lucio Malvezzi e trasportato a Venezia.. La moglie Isabella D’Este spinta dalla disperazione si affidò a Papa Giulio II per ottenerne la liberazione e una volta riuscita nell’ intento si sdebitò con la Chiesa concedendo agli ordini religiosi l’ utilizzo dell’ edificio che venne trasformato nel Convento dei Cappuccini.
La villa è posta sulle rive del Mincio, adiacente al ponte della gloria si presenta come un eccezionale insieme eclettico di tutti i gusti costruttivi che vanno dal 400 al 900 nella composizione di vari stili, con vaghe reminescenze fancelliane, è possibile che siano stati inseriti elementi della leggendaria villa Gonzaghesca ora scomparsa. Questo è probabilmente vero in misura maggiore nei due corpi d’ingresso.
Nella parete frontale un grande graffito riproduce scena di caccia; sono presenti ampie finestre ad arco tondo, fumaioli in cotto e sasso vivo, poggioli, un pozzo con stemmi araldici, una fontana (ora scomparsa), un belvedere. Secondo lo studioso Moreno Tonini è quasi certa l’opera di Giulio Romano che in tutte le sue opere prediligeva giochi d’acqua e fontane. All’interno della villa erano presenti stupendi affreschi giulieschi che furono coperti all’arrivo dei Cappuccini. La Giraffa si presentava con tutta probabilità come un piccolo Palazzo Te goitese che fu rovinato nel tempo da continui ritocchi e spregiudicate aggiustature. L’aspetto migliore della villa è il rapporto con l’ambiente naturale, realizzato attraverso la struttura del grande parco ottocentesco – l’area recintata è di 27000 metri quadrati – : abeti, magnolie, salici, tigli, roseti, faggi, bossi, platani secolari. In passato essa fu sede come detto del convento dei frati Cappuccini – 1610 – citato nel catasto Teresiano nel 1776.
L’arrivo di Napoleone e la sua furia anticlericale portarono alla conseguente confisca dei beni religiosi e segnò la loro cacciata alla fine del ‘700. Qui l’esercito francese vi costituì un’ ospedale per il ricovero dei feriti di guerra; Secondo la leggenda i Cappuccini lanciarono una maledizione verso tutti i futuri proprietari della villa. Un documento archivistico testimonia la presenza dei Cappuccini nell’ anno1738 .In questa occasione la loro famiglia era composta da:GUARDIANO,padre Paolo d’ Acquanegra .VICARIO, padre Filippo della Massa, padre Lodovico da Canneto ,padre Cirillo da Verona.CHIERICO, frate Davide da Verona. LAICI frate Felice dalla Fratta , Norberto da Venezia, Giacomo d’ Acquanegra. .
Dopo Napoleone il chiostro rimane senza padrone fino al 1828 quando un possidente mantovano GIOVANNI FUMAGALLI lo compra e trasforma in villa dandole il nome di LA GIRAFFA .Anche se non è possibile affermarlo con certezza è probabile ghe il parco interno fosse popolato da vari animali, quasi un giardino zoologico,e che la giraffa ne fosse l’ emblema, cosi’ come si puo’ vedere sulla facciata anteriore dell’ ingresso, forse un tentativo di rievocare nell’ immaginario collettivo l’idea della leggendaria villa gonzaghesca perduta per sempre.La tenuta rimane di proprieta’ di questa famiglia per oltre un secolo;verso meta’ ottocento la tenuta è utilizzata parzialmente come locanda la’ dove poi fu convertita in piccola chiesetta , cosi’ come si puo’ vedere in una incisione in bianco e nero sulla battaglia sul ponte dell’aprile 1848. Alle spalle del luogo della contesa si puo’ vedere una parte dell’ edificio con la scritta “Albergo della Giraffa”. Da segnalare che nel1863 una piccola parte dell’ edificio stesso è ceduta per breve tempo al Comune di Goito che la utilizza per uso scolastico.FAMIGLIA FUMAGALLI-Il proprietario Giovanni nasce a Bergamo nel 1789 da Giovanni Battista e Rosa. Non è azzardato affermare un probabile legame di parentela tra questa famiglia e il famoso violinista settecentesco Pietro Antonio Locatelli anch’egli bergamasco, vista la ricorrenza onomastica tra i discendenti dei Fumagalli ( Giovanni Battista era il nome del cognato della moglie Caterina). I figli di Giovanni, Augusto e Giuseppe, si distinsero insieme ad altri della famiglia come volontari garibaldini nelle varie campagne risorgimentali dal 1848 al 1867. gli ultimi discendenti Fumagalli a abitare la villa sono l’Avvocato Attilio Quirino Gozzi e la moglie Carolina Fumagalli detta Ninina.IL CENACOLO DEGLI ARTISTI- Alla fine degli anni ‘ 20 la villa diviene punto di riferimento degli artisti grazie alla protezione dei mecenati Attilio e Ninna. Un centro culturale e d’ arte aperto a pittori e scultori di ogni parte anche stranieri;esso è collegato alle istanze piu’ moderne della cultura fascista sotto la guida di Giuseppe Bottai.Il gruppo, piuttosto eterogeneo, vede la presenza di figure mantovane quali i pittori Arturo Cavicchini, Alessandro Dal Prato e gli scultori Aldo Bergonzoni e Clinio Lorenzo Lorenzetti.A questi bisogna aggiungere il pittore goitese Giuseppe Fierino Lucchini ,l’ amico Ermanno Pittigliani e lo scrittore Emilio Faccioli,che nei confronti di tale gruppo ebbero sempre un atteggiamento molto guardingo.Tra le tante opere dedicate a Goito ,al Mincio e a punti suggestivi del suo territorio, diverse riguardavano la Giraffa.Cavicchini dipinse un ritratto dell’ avvocato Gozzi, mentre Lucchini produsse vari dipinti, acquarelli, disegni ed incisioni della tenuta signorile. Dal 1935 i nuovi proprietari sono i Pontoglio di Salo’ che vi rimangono per breve tempo operando un restauro. Dal 1940 nella villa subentra la nobile famiglia dei PERDOMINI.Il conte CARLO appartiene a una nobile famiglia di Gazzuolo dove egli nasce nel 1905; è persona molto influente, legato a Galeazzo Ciano e parente dei nobili Nuvoletti di Mantova.La contessa LIVIA BIANCHI, è la moglie .Insieme avranno quattro figli e faranno la storia di questa abitazione per quasi quarant’ anni. Questa famiglia ebbe parte importante nelle modifiche apportate agli edifici.Il salone delle feste è l’ ambiente piu’ ricco con il camino marmoreo sormontato dall’ emblema araldico dei Perdomini:troncato,nel primo d’ azzurro al monte naturale, sormontato da un albero in verde; nel secondo d’ oro a due sbarre d’ azzurro ciascuna caricata da tre stelle d’ oro. Un altro ambiente notevole al piano terreno è la sala dedicata a Mantova con pianta della città affrescata e gli stemmi delle principali casate: Gonzaga, Casali, Castiglioni, Cavriani ecc. ecc. La tenuta si presentava con : villa, chiesetta, sacrestia, appartamento ospiti, armeria, dependance, stalla. Cinquanta stanze totali per complessivi 3500 metri quadrati.
Essa è sottoposta al vincolo dei Beni Culturali e Ambientali dal 1989.
Negli anni ’90 è stata sede di un’ importante casa d’ aste.
RASSEGA
Chiamata così per una sega azionata un tempo dall’acqua del Mincio. Prima di questa nel 1515 era presente come in molti altri punti del Mincio e del Naviglio, un Mulino e prima ancora un macero per la lana.
Tra i vari proprietari nel 1774 figura l’università dei Mercanti da Lana di Mantova, che testimoniano appunto questa continuità nel tempo con la lavorazione del prodotto. I mercanti dell’ arte della lana furono proprietari dai primi anni del 1500, in seguito i berrettai la detenerono fino alla soppressione di tutte le arti gonzaghesche nella seconda meta’ del ‘700.Subentro’ quindi la Ducal Camera.
Citata nel Catasto Lombardo-Veneto del 1855-1864.
I mercanti da lana, ovvero i berrettai costruirono nel 1502 un follo in riva al Naviglio. A meta’ secolo esso fu ristrutturato ed arricchito dell’ aggiunta di una “ rassega” per tagliare la legna e da un follo da carta per la sua produzione, molto in auge nel periodo. Nacque cosi’ la corte.E’ stata ristrutturata nell’ ambito della creazione di un sito residenziale che possa accogliere utenti turistici.
MAGLIO (Frazione)
Frazione situata nella zona sud del comune di Goito posta tra il corso del Mincio e del Naviglio. Il nome deriva da “Malleus” ovvero martello a due teste per la lavorazione dei metalli (in rame) e della carta. Una lapide muraria custodita nell’antica cartiera fa risalire la prima citazione al 1227.Secondo lo storico Giuliano Mondini, l’ inizio del lavoro del suo opificio, (laboratorio artigianale) per la produzione di carta e rame , è da ritenersi verso il 1588-1589.
Chiesa di S.Rita costruita nel 1950, fu inaugurata il 22 Maggio di quell’anno. L’area era stata donata alla Chiesa parrocchiale di Goito dai Sig.ri Moschini.[1]
Al suo interno sono racchiusi due ovali del 1700 raffiguranti “ la Sacra Famiglia” e “la morte di S Giuseppe) risalente al XVIII sec.
[1] Fu progettata dall’architetto Campanari, la costruzione venne diretta dal Geom. Sergio Guidoni. Il rilievo in cotto di S.Rita opera dello scultore goitese Menozzi mentre l’affrescatura venne curata dal pittore roverbellese Passerini.
Pila del riso Finzi
Edificio convertito in Mulino da grano e Pila da Risi nel 1676. La struttura è quella di un’identità a sÈstante che assume l’aspetto di una capace casa per salariati, simile a un palazzotto rurale a due piani o una aggregazione in serie di locali predisposti per accogliere davanti al Mulino vero e proprio l’abitazione del Mugnaio e dei suoi abitanti.
Viene citata nel Catasto Teresiano del 1776 e nel Catasto Lombardo Veneto del 1855/1864.
Nel 1727 è citato come Mulino Camerale.
Corte Brolazzo
Antica dimora gonzaghesca. Al suo interno troviamo una torre medievale che si allarga sulla cima dei suoi torrioni, atti alla difesa militare, merli a coda di rondine, murate solide con strette feritoie e basi di sostegno per le catapulte. La scala stretta difesa da un solo uomo è prova dell’uso militare. Le abitazione della borgata sono disposte a ferro di cavallo, al centro il castello cioe il palazzo Signorile con a lato l’antica Cappella. Residenza ducale estiva e per il periodo della caccia, fu abbellita dai Gonzaga per trascorrervi parecchi mesi l’anno. Le stanze del palazzo sono ariose, con ampie finestre e un camino con la scritta “Federicus II Dux Mamt.P.” (Federico II Gonzaga) Duca protettore delle Arti. Nel settecento è da considerarsi il prototipo della corte poli funzionale dato il suo complesso di edifici adibiti a maglio, mulino, barchesse, stalle, e fienili. Purtroppo una ristrutturazione infelice ne ha modificato le caratteristiche di edificio domenicale. +
Citata nel catasto Teresiano del 1776. intorno al Brolazzo correva un largo fossato che convogliava le acque di spurgo e di irrigazione. + erano presenti oratorio e sagrestia .Nel 1587-1590 furono costruiti due magli, uno per lavorare il rame euno per il ferro.L’ arrivo di operai esperti in queste lavorazioni, prevalentemente provenienti dal bresciano, favori’ lo sviluppo demografico della frazione di Maglio.Come Campoperso fu proprieta’ del conte Lorenzo Cristiani.
Corte Colarina
Situata a fianco della strada omonima, essa si trova già in territorio marmirolese. La corte fu di proprietà gonzaghesca; risulta particolarmente interessante per la sua complessità strutturale. Nell’archivio Gonzaga si trova un disegno risalente al 1583 in cui si tracciano le coltivazioni a riso del fondo. Qui era presente anche una fornace. Citata nel Catasto Teresiano del 1776 e nel Lombardo Veneto del 1855/1864.Appartenne anche alla Ducal Camera di Mantova. E come altre proprieta’ della zona alla duchessa di Massa e Carrara.
Trifoglio
Fondo dov’è presente una delle conche del Naviglio, citato in documenti archivistici gia’ nel 1528 Luca Fancelli , famoso architetto e scultore collaboratore di Mantegna la ebbe come abitazione di villeggiatura cosi’ come le Bertone. 
Corte Ghisola
Il suo nome originale dovrebbe essere Chiesola vista la presenza nelle vicinanze di una piccola chiesa dedicata a S. Maria del Carmine esistente verso il 1600. anche qui come nella vicina colarina era presente una fornace che produceva derrate, calcina, ciottoli.
MARSILETTI (Frazione)
Una delle frazioni di Goito. Situata nella zona sud est del comune, nelle sue vicinanze oltre al parco Bertone merita una segnalazione il Lago S.Pietro usato per attività di pesca e ricreative. Il nome Marsiletti è una probabile derivazione latina, “Pratum Marcidum, terreni a marcita da una citazione archivistica del XII sec.. Meno convincente appare la versione che accredita il toponimo come derivante dal cognome della prima famiglia che diede origine al borgo, proveniente dalla città francese di Marsiglia. 
Maioli
È il diminutivo pluralizzato di Maglio. L’anagrafe parrocchiale dei secoli scorsi scriveva sempre Maglioli e non Maioli. Con tutta probabilità l nome deriva dell’epoca gonzaghesca quando i nobili concedevano “ponendi maleos ligneos”. 
Catasto Teresiano 1776 e C.LV 1855/1864. 
Corte Barattere
Significato analogo a Valle Buratto, cioè zona dove avvenivano scambi e baratti. La vocazione ai commerci particolarmente fertile al tempo seconda guerra d’indipendenza, quando il Mincio era confine tra stato Austriaco e Piemontese. La corte è coronata da una torre colombara.
Croce del Gallo
La croce in legno posta all’imbocco della strada che porta a Massimbona in località Croce del Gallo, fu eretta secondo una versione popolare per onorare un gallo che con il suo canto svegliò appena in tempo una sentinella francese assopita che così riusci ad avvertire in tempo la guarnigione dell’imminente attacco austriaco.secondo un’altra versione, la croce fu eretta per ricordare il valore del soldato Gallo, cioe francese che combatté contro gli austriaci dopo essere partito da Villa Schiarino.
Corte Vigneto vecchio e nuovo
Il nome deriva da un ampio vigneto che esisteva anticamente su questi fondi. Queste corti insieme a Corti Canova, Cavriani, Ca Cavriani (Canova Palazzina), Corte Bosco, Corte Fabbrica Cavriani, appartennero come suggerisce il toponimo stesso, alla nobile famiglia dei Marchesi Cavriani. Questa era proprietaria fin dai secoli precedenti di fondi a Goito. Dal Catasto Teresiano del 1776 risulta avere altre 10000 pertiche milanesi di terreno, anche se in realtà i loro beni erano molto superiori. Con la riforma del 19 Giugno 1798 ai loro beni si aggiunsero parecchie proprietà appartenenti alle congregazioni religiose. Fin dal 1400 Cavriani erano possessori di vasti terreni (coltivati anche a riso) a Sustinente, Governolo, Libiola, Quistello ecc.ecc. 
Corte Pasqua – Pasquetta nuova e vecchia – Quaresima
Sono nomi derivati dalla Liturgia e dal calendario religioso. Citate nel catasto Teresiano del 1776 e nel Lombardo Veneto del 1855/1864. 
Corte Villabona
Corte gonzaghesca costruita dall’ingegner Giovanni da Padova nel 1460 su incarico di Ludovico Gonzaga. I terreni circostanti erano di proprietà della famiglia fin dal 1355 e nel tempo furono coltivati anche a riso.Veniva utilizzata per l’ allevamento dei cavalli. La struttura architettonica della casa padronale può essere indicata come prototipo del palazzetto rurale mantovano. Al suo interno sono stati rinvenuti affreschi quattrocenteschi. Nel 1519 fu ceduta a Ferrante Gonzaga di Guastalla che la utilizzò come tenuta di caccia. Fu sempre frequentata da personaggi di alto rango della nobiltà cittadina; nel 1651 fu acquistata dalla famiglia nobile dei Custoza. La proprietà passo quindi alla famiglia dei Cavriani. Notevole risulta essere la sistemazione agraria del fondo compiuta nell’arco di un tempo lunghissimo.
Il territorio di Massimbona e Villabona fu teatro di numerosi fatti d’arme. Per esempio il 29 Maggio 1630 era in atto una lotta per la successione al Ducato di Mantova tra i Gonzaga di Guastalla sostenuti dalla Spagna e i Nevers sostenuti dai francesi. Venezia si alleò al re di Francia Luigi III, mentre i Gonzaga di Guastalla ebbero in aiuto dal re FerdinandoII d’ Austria i feroci alemanni che lo storico Botta definisce “un’orda di mostri” più che uomini. Il generale Galasso al comando di 10.000 uomini tra fanti e cavalli e con molti pezzi d’artiglieria marciò all’attacco di Villabona dove da due giorni i Veneziani del Colonnello Vimercato si erano posizionati. I primi ad entrare in azione furono i Croati contro i Capelletti in aiuto dei quali vennero mandati dal Cavaliere della Valletta, da Marengo, dei venturieri Mantovani e un distaccamento di lancie spezzate. In aiuto dei Veneziani giunsero rinforzi anche da Valeggio, ma inutili perché Galasso sbaragliò il campo imprigionando il Cav. Della Valletta a Goito. Più di mille soldati veneti rimasero uccisi.
MASSIMBONA
Il piccolo borgo di Massimbona sorge a circa quattro Km da Goito. Storicamente parlando tale territorio ebbe un’importanza notevole nel corso dei secoli per la presenza di due significativi elementi conformanti il paesaggio: la strada Postumia e il fiume Mincio. La prima, lungo la quale è collocato l’oratorio, fu polo d’attrazione per molti mercanti e pellegrini e permise così a Massimbona di divenire un borgo fiorente. La presenza del fiume invece, che qui ristagna formando una sorta di guado, facilitò la costruzione di un mulino. Massimbona viene citata per la prima volta in documenti archivistici nel 1279. nel 1333 i registri su Massimbona attestano la proprietà di Guido, Filippo e Feltrino Gonzaga. Proprietari successivi furono i conti Custoza e la famiglia nobile dei Cavriani.
Riguardo all’origine del nome “Massimbona” sono valide due supposizioni: una, suggerita dallo storico Tozzi, secondo cui deriverebbe da “Mansiones”: termine latino con cui si indicavano brevi tratti di sosta lungo la Postumia ( il mansio poteva essere un’osteria o una locanda presso cui ristorarsi ). La seconda, sostenuta principalmente dalla Palvarini Gobio Casali, secondo cui l’origine sarebbe legata al vocabolo latino – medioevale “mansus”, che sta per podere, unito a bona, con cui si indicano appunto poderi di terra buona, cioè fertile e produttiva.
Oratorio di San Pietro in vincoli
La cotruzione dell’oratorio, della quale non esiste una datazione precisa, risale probabilmente alla presenza dei monaci benedettini nel territorio, Nel 1007 infatti viene fondato a San Benedetto Po, nel basso mantovano, il convento di San Benedetto in Polirone ad opera di Tebaldo di Canossa, notevolmente arricchito in seguito dalle donazioni di Matilde di Canossa. È grazie ad essa infatti che, all’incirca negli stessi anni, passano sotto il controllo benedettino due importanti conventi: Santa Maria di Castiglione a Parma e San Genesio a Brescello. È proprio a quest’ultimo che, secondo un documento datato 12 novembre 1099, Matilde vende terreni situati a Pegognaga, Gonzaga, Scorzarolo e Goito. Quest’ultimo poi, insieme ai terreni di Massimbona, passa nei primi decenni del XII secolo direttamente sotto il controllo di San Benedetto in Polirone (a testimonianza di ciò esistono due documenti del 1105 e del 1111).
La dedicazione stessa a San Pietro conferma un’ origine benedettina dell’edificio in quanto il culto di tale santo era largamente diffuso nel medioevo da questi monaci, che vedevano in lui il fondamento della chiesa di Cristo per l’autorità ricevutane e la qualità del martirio.
La chiesa di impianto romanico presenta una semplice pianta rettangolare ad aula (cioè con una sola navata), con un unico altare centrale ed un presbiterio piuttosto ampio. La facciata è a capanna con un timpano al cui centro è inserita una finestra rettangolare.
Le pareti interne, bisognose di un urgente restauro, presentano una complessa struttura a palinsesto caratterizzata cioè da dipinti di epoche diverse che si sovrappongono gli uni agli altri, mentre le decorazioni tarde della zona presbiteriale, già restaurate, mostrano una situazione più chiara e di più facile studio.
Gli affreschi, in tutto tredici, rappresentano per lo più santi dalla valenza taumaturgica, cioè visti come protettori del luogo ( San Cristoforo evocato contro l’esondazione delle acquee del fiume, Sant’Antonio Abate evocato come protettore degli animali domestici, Santa Caterina come protettrice dei mugnai, San Giacomo come protettore dei pellegrini ). Molto sentito è anche il tema mariano ( come del resto in quasi tutte le chiese campestri del territorio) e forse uno dei dipinti migliori è proprio una Madonna in trono con Bambino, posta al centro della parete sinistra, databile alla prima metà del sedicesimo secolo e di probabile scuola veronese. Altrettanto valida è però anche una rovinatissima Crocifissione trecentesca posta in controfacciata e molto simile ad una presente nell’oratorio Bonacolsi a Mantova (probabile influsso dei giotteschi padovani).
Concludendo va detto che la chiesa, confrontata con altri edifici campestri della zona, evidenzia elementi stilistici ed iconografici costanti che rientrano in un linguaggio pittorico caratteristico ed omogeneo del territorio mantovano nel Medioevo.
Il mulino
Appartenne ai Gonzaga e fu più volte modificato. Il mulino qui rappresenta il centro dell’insediamento rurale che sta intorno, formato dalle vicine corti, dalla chiesetta Patrizia dall’osteria e dalla strada che venne obbligata ad una stretta curva per arrivarvi direttamente. Il primo riferimento storico che lo riguarda risale al 22 Novembre 1231; su una delle travi dell’edificio è anche inciso il cognome della famiglia Bonetti che nel 1393 era proprietaria del molino.
Qui sono conservati numerosi attrezzi originali costruiti nei secoli dai mugnai. Dal punto di vista tecnico il molino funzionava tramite il movimento di quattro ruote, sfruttando la notevole portata del fiume Mincio e poteva macinare da 800 a 1000 kg di cereali l’ora. È di proprietà di Guido Ramaroli.
Gli itinerari del martin pescatore
Presentazione
Questa descrizione delle strade con relative misurazioni è stata effettuata tra l’autunno 2001 e l’estate 2002. Grazie alla mia vecchia bicicletta Bianchi n° 28 che ho dotato di un semplice contachilometri, ho potuto muovermi attraverso il territorio goitese, cercando di creare dei collegamenti tra i vari sentieri in modo da poter offrire a chi li percorre la possibilità di conoscerlo a fondo.
Io stesso fino ad allora non lo avevo mai preso in considerazione nella sua globalità. Ero infatti molto condizionato dalla Statale Goitese che, con il suo traffico incessante, nasconde molte delle cose che ho poi potuto scoprire.
Inoltre, il fatto di esplorare questo lembo di terra dotato di un mezzo “lento” come la bicicletta, oppure in maniera ancora più rilassata e cioè a piedi, mi ha aiutato in grande misura a percepire le cose in profondità.
In piccola parte ho immaginato immodestamente di sentirmi come i grandi camminatori dell’800 e i grandi scrittori e poeti come Henry David Thoreau, Walt Whitman, William Wordsworth, Dino Campana, avidi di conoscenza, intrisi di romanticismo e amore per la natura.
M
i auguro di poter trasmettere queste sensazioni anche ad altre persone.
In questa piccola grande avventura sono stato accompagnato ed affiancato dal signor Anacleto Bianchi, sempre prodigo di consigli e saggezza, nonostante a volte lo abbia fatto pedalare sotto la pioggia o in mezzo al fango. Per tutto questo lo ringrazio di cuore.
La scelta di un simbolo che rappresentasse l’intero percorso non è stata facile. Tra le tante opzioni che mi hanno tentato, alla fine ho deciso per il Martin Pescatore, “il Piumbin” in dialetto mantovano. Questo piccolo, bellissimo uccello multicolore che si vede ormai raramente a causa dell’inquinamento chimico e della distruzione del suo habitat naturale, mi è sembrato un emblema ideale per simboleggiare uno spirito che deve rinascere dentro ognuno di noi: l’amore per le bellezze di questo mondo.
I Percorsi
Nella struttura che si potrà vedere nelle pagine seguenti, mi è sembrato utile accostare ai quattro percorsi principali, altri percorsi alternativi. Si potrà notare come questi andranno ad intersecarsi varie volte, formando una vera e propria rete.
Naturalmente ognuno potrà variare il punto di partenza a seconda dei propri gusti.
Le Strade
Tutti i tipi di itinerario si presentano con un tracciato di tipo misto, ovvero con strade asfaltate e sentieri sterrati o ghiaiosi. Tranne che in alcuni rari casi, quali alcuni viottoli o carrarecce, si tratta di percorsi facilmente accessibili sia alle biciclette sia ai pedoni. Dal punto di vista altimetrico le difficoltà sono praticamente nulle, visto che il territorio è quasi totalmente pianeggiante. Un comportamento civile e rispettoso è naturalmente d’obbligo. Questo è ancor più necessario nei tratti dove il passaggio è su proprietà privata.
Particolare attenzione, vista la pericolosità, deve essere posta nei tratti ove il tracciato attraversa la S.S. Goitese.
Le Misure
La misurazione del tracciato, come già detto nell’introduzione, è avvenuta tramite un semplice contachilometri applicato alla ruota di una bicicletta. I risultati ottenuti sono comunque della massima attendibilità.
Itinerario n. 1 (rosso)
Il Mulino di Goito – La Quercia di Sacca (km 41,500)
Partenza da Mulino (km 0,000).
Percorrere il sentiero costeggiando il Mincio, superare Lavatoi (km 0,410). Qui è possibile rientrare sulla strada asfaltata, posta subito a fianco, oppure rimanere sulla via precedente. Avanzare verso Torre arrivando nei pressi di Stradello Isolo (sterrato) posto a destra prima della curva. Imboccarlo (km 0,920). Più avanti troviamo Corte Isolo (km 1,390) e poi un bivio (km 1.690).
Verso destra si arriva a Corte Mulino (km 1,740). Nei pressi si trova il fiume Mincio in uno dei suoi scorci più suggestivi.
A sinistra l’itinerario principale prosegue invece verso Torre.
U
scendo dal suo centro abitato (km 2,710), prendere a sinistra la strada asfaltata e subito dopo a destra entrare in Strada Lorenzina Costa (km 2,810); a sinistra abbiamo Corte Sereno (km 3,060), dopo una salitella si arriva ad un incrocio.
Proseguire diritto per Strada Le Fabbriche superando Corte San Daniele. Più avanti c’è Corte III Fabbrica (km 5,250).
Poi, superato un vialetto di noci, sulla destra c’è Corte IV Fabbrica (km 6,000.
Andare dritto, poi entrare in Strada Tombella, a destra (km 6,250).
Rimanendo invece sulla strada, avanti sulla destra troviamo Corte Tombella (km 6,750) e di seguito Oratorio dell’Angelo Custode (km 6,900), subito dopo curvare a destra e fare il lungo rettilineo che in pratica è il confine tra i Comuni di Goito e Volta Mantovana. Al km 8,100, sulla nostra destra, possiamo notare Corte V Fabbrica.
Rimaniamo sulla strada principale: troviamo, a sinistra, Corte VII Fabbrica (km 8,700).
A sinistra di questa, a circa 100 metri, c’è Corte VI Fabbrica, già in territorio voltese.
Rimaniamo sempre sulla strada principale, prendiamo a destra e siamo di nuovo in territorio goitese. A sinistra troviamo Corte Speranza (km 9,300), Corte Costa (km 9,650).
Discesa, poi stop. Andare a sinistra verso Falzoni, poco dopo imboccare Stradello Merlesco, a destra fino ad arrivare a Corte Merlesco (km 10,600).
Da qui si può andare all’Isola delle Frangole (800 m circa).
Tornando, dalla Corte si prende uno stradello fino ad un bivio (km 11,400):
a) A destra c’è il Bugno della Bardellona (riva del Mincio).
b) A sinistra si arriva fino a Corte Bardellona (km 11,550).
Da qui si percorre la strada di Pozzolo a ritroso tornando verso Strada Lorenzina Costa, cioè girando a destra in prossimità della curva, percorrendo un breve tratto in leggera salita su terreno sterrato e rettilineo (km 12,600).
Avanti, sulla destra, c’è un gruppo di case disabitate, Corte Lorenzina I (demolita), accessibile da stradello (km 12,900), che porta anche verso Corte Lorenzina II.
Dalla strada si avanza e a sinistra si trova uno stradello in discesa (km 13,550), che porta verso un grande pioppeto. Rimaniamo sulla strada principale, siamo sulla Costa della Signora, avanziamo trovando:
a) Latteria Cooperativa Goitese, a sinistra (km 13,950).
b) Stradello che porta verso Corte Angelina.
Rimanendo invece sul rettilineo si avanza trovando poi sulla destra Corte Bressanello (km 14,350), per poi arrivare di nuovo all’incrocio con Strada Le Fabbriche (km 14,650).
Andare diritto, più avanti sulla sinistra troviamo l’ingresso del Sentiero del Parco della Fontanina (km 15,310).
Andare diritto fino a Corte I Fabbrica (km 16,210), Corte II Fabbrica (km 16,460) e quindi uscita su Strada Le Fabbriche (km 17,110).
Per andare verso Cerlongo utilizzare la strada alla nostra sinistra, oppure andare diritti verso Angelo Custode e poi svoltare a sinistra. Entrambe le soluzioni portano alla Chiesa di Cerlongo da dove attraversiamo il paese (km 19,000).
Proseguire ed arrivare fino allo stop sulla S.S. Goitese (km 19,160).
Oltrepassarla, andare diritto e fiancheggiare a sinistra il Castello Magnaguti (km 19,260), poi sempre dritto fino ad arrivare ad un bivio (km 20,390), andando a sinistra troviamo Strada Cà Vecchia Cerlongo (partendo da qui, si può uscire su Strada Vasto dopo un chilometro).
Andando verso destra invece s’imbocca Strada Paioletta. Andiamo per questa via e troviamo un Pioppeto (km 21,640), si arriva poi ad un bivio (km 21.940). Da qui noi proseguiamo a sinistra in direzione Vasto. Avanzando troviamo sulla destra una Corte disabitata, Corte Canova (km 22,240), sulla sinistra Corte Loghino (km 22,740), fino ad arrivare a Vasto (km 23,090).
Dal centro della frazione (km 23,340) a destra si va verso Guidizzolo e Ceresara, andando verso sinistra troviamo nell’ordine la Chiesa (km 23,840) (subito prima c’è un sentiero che porta verso Corte Vasto).
In ordine verso Goito troviamo: Corte Tezze (km 24,340) (sulla destra), Corte Le Casse (km 24,590) (sulla destra), Corte Caselle (km 25,040) (sulla sinistra), Corte Palazzetto Vasto (km 25,140) (sulla destra) e Pioppeto (sulla sinistra) (km 25,490) fino ad arrivare ad un bivio (km 25,790) (a sinistra c’è Strada Cà Vecchia Cerlongo che riporta appunto verso Cerlongo).
A destra prendere Strada San Lorenzo, avanzare, sulla curva troviamo Corte Levadello (km 26,440), Corte Boschi (km 26.990), incrocio per San Lorenzo (km 27,590), si arriva poi in centro di questa frazione (km 28,310), seguire la strada principale fino ad arrivare allo stop di Strada Santa Maria Colombare (km 29,850), a destra si va verso Solarolo.
A sinistra si arriva fino allo stop su Strada Postumia, nei pressi di Corte Santa Maria (km 30,450). Passare la strada ed andare diritto per Strada Mussolina, troviamo Corte Santa Maria Minore (km 31,050), Piscine Airone e Pozzo Geotermico (km 31,450) e poi Corte Mussolina (km 31,450).
Da qui ci sono due possibilità.
Itinerario secondario: Mussolina – Sacca
1) Si parte dal viottolo accanto a Corte Mussolina, andare a destra e poi proseguire dritto per un sentiero un po’ scomodo (Sentiero Lodolà) che, dopo aver attraversato un prato, ci permette di uscire in Corte Lodolà (km 0,800). Da qui si prende a sinistra una strada sabbiosa per poi riuscire su un altro sentiero (km 1,200). Teniamo la sinistra fino ad arrivare all’uscita su Strada Malpensa (km 1,700). Si prende a sinistra e si va verso Sacca arrivando allo stop (km 2,650).
2) Continuare sulla strada asfaltata, costeggiando il Canale Scolmatore, ad un certo punto si trova sulla sinistra un sentiero (km 32,250) (se lo si prende, si arriva a Corte Casella dopo 600 metri e quindi a Calliera).
Se invece si continua sulla strada asfaltata si va verso Sacca fino ad arrivare allo stop sulla Strada per Rivalta (km 32,850), oltrepassare e dirigersi verso il centro della frazione (km 33,050), situato a destra, andare dritto fino ad arrivare ad un’edicola votiva e svoltare a sinistra per l’antico tracciato Goito- Rivalta (km 33,500) in direzione Bell’Acqua, trovando uno stradello a destra che porta verso una cava (km 34,350), sentiero Sacca sulla sinistra che riporta alla frazione (km 34,750) e un secondo sentiero sempre a sinistra (km 35,250) e subito dopo Corte Bell’Acqua di Sopra (km 35,300), più avanti Bell’Acqua e Bell’Acqua di Sotto (km 35,650), avanzando, sulla destra, troviamo dei laghetti con varie specie di uccelli (km 36,250), fino all’incrocio con Camignana (confine con Rodigo) (km 36,700).
Tornare indietro per la strada fatta in precedenza, e dopo (km 1,900) entrare nel Sentiero Mulino visto prima, posto immediatamente dopo Corte Bell’Acqua di Sopra (km 38,600). Dopo una leggera discesa troviamo un ponticello posto vicino al Vecchio Mulino di Bell’Acqua, dopo 200 m ritorniamo sulla strada principale. Percorsi 100 m entriamo sulla destra in sentiero Sacca già precedentemente segnalato (km 39,400). Questa strada riporta verso Sacca. Al km 40,200 sulla sinistra troviamo un laghetto, poi Corte Bassa (km 40,800). Qui troviamo nell’ordine un sentiero sulla destra (km 40,900) (e subito dopo a destra, chi vuole, può entrare nella strada ciclabile che porta a Maglio). Invece per andare a Sacca si riparte dal sentiero precedente. Al km 41,300 a sinistra è possibile ammirare la Grande Quercia, usciamo nei pressi del centro abitato (km 41,500). Prendere a destra e andare diritto, fino ad uscire sulla Strada SP 23 (km 41,900). Di fronte troviamo strada Calliera, dopo alcune decine di metri sulla sinistra si trova il sito dei ritrovamenti longobardi. Da qui si può ritornare verso Goito passando per Calliera.
Itinerario n. 2 (arancione)
Monumento al Granatiere – Vasto (km 12,500)
Partenza dal Monumento al Granatiere (km 0,000).
Percorrere il Lungomincio degli Arimanni in direzione Pedagno, sulla destra si trova il cancello d’ingresso/uscita verso Pedagno (km 0,390), andare avanti dritto fino ad uscire dalla parte opposta (km 0,790). Sulla sinistra troviamo Corte Guà (km 0,840).
Qui è possibile procedere indifferentemente in due modi: fino a Strada Pedagno su strada asfaltata si torna verso Goito, a sinistra si arriva alla discarica dopo 1,100 km.
Oppure entrare nella Corte ed immettersi in un sentiero. Più avanti sulla sinistra c’è uno spiazzo (km 1,740) da cui dovrebbe passare in futuro una ciclabile che, attraversando Corte Casale, si collegherebbe a Sacca, secondo un antico percorso.
Si esce nei pressi della discarica (km 1,870), dopo una breve salita si arriva allo stop su Strada Sacca-Rivalta (km 2,190). Avanzare sulla strada asfaltata per pochi metri, poi girare a destra per uno sterrato in zona Cà dell’Orso (km 2,340). Superati due laghetti si arriva a Calliera nei pressi dell’ex scuola elementare (km 3,100). La strada ritorna asfaltata.
È possibile proseguire in tre modi diversi:
a) Andare dritto e al crocicchio girare a destra fino ad arrivare sulla Via Postumia dopo 900 metri circa. Girando a sinistra ci si può collegare all’Itinerario rosso.
b) Al crocicchio girare a sinistra in direzione Sacca; avanzando sulla sinistra si vede un laghetto, sulla destra Corte Casella e uno stradello che porta all’incrocio con Strada Mussolina (dopo km 1,410), dove anche qui si trova il collegamento all’Itinerario rosso.
L’itinerario principale prevede di girare immediatamente a destra, incontrando Cà Alba e Corte San Giuseppe (al km 3,890) e Corte Galella (km 4,390). In quest’ultimo caso, immediatamente dopo si esce su Via Postumia. Girare a destra e poi subito a sinistra imboccando Via Foscolo (km 4,640), andare dritto fino a Cà Vecchia Gobbi (km 5,150).
L’itinerario principale prosegue diritto e subito a sinistra nel sentiero per Resenasco. Da qui (km 5,300) si arriva a Resenasco (km 6,200), si arriva poi ad uno spiazzo (km 6,700). Tenere la destra, avendo sulla destra una canaletta, ed uscire su Strada Vasto (km 7,840), a sinistra superare Canale Caldone (km 7,900), Corte Catapane (km 8,050), incrocio con strada Cà Vecchia Cerlongo (km 8,550), Pioppeto (km 9,000), Corte Palazzetto Vasto (km 9,250), Corte Caselle (km 9,300), Corte Le Casse (km 9,750), Tezze (km 10,050). Prendere un sentiero al km 10,650, a sinistra, che porta a Corte Vasto (km 11,250). Nelle immediate vicinanze si trova il Mulino di Vasto ora fatiscente (km 11,750). Per tornare, si va dritto per 700 metri fino all’uscita su Strada Vasto, nei pressi della Chiesa (km 12,500).
Itinerario n. 3 (marrone)
Villa Giraffa – Ponte della Gloria (km 14)
Partenza da Villa Giraffa (km 0,000). Andando verso Maglio, troviamo Corte Rassega (km 0,500) più avanti sulla sinistra, e poi Corte Buonmercato (km 1,100). Subito dopo prendere sulla destra Strada Romanello Campoperso (km 1,300). Su di essa si trovano nell’ordine: Corte Romanino (km 1,650), Corte Romanello (km 1,750), Corte Polesine (km 2,550) e Corte Belvedere (km 3,200), prima di ritornare su Strada Maglio (km 3,650).
Uscire ed andare verso destra. Sulla sinistra è visibile Corte Palazzetto Maglio. Più avanti si trova sulla sinistra un pioppeto, di fronte ad esso c’è un sentiero in cui bisogna entrare ed andare a sinistra (km 4,450). Andare diritto fino a ritornare sulla strada principale in corrispondenza di Corte Brolazzo (km 5,250). Andare a destra fino ad arrivare al centro di Maglio nei pressi del Ristorante “Naviglio” (km 5,750). Da qui si hanno due possibilità.
Itinerario principale
Andare diritto e superare la Chiesa (km 5,850). Uscire da Maglio e proseguire fino alla prima strada sulla sinistra nei pressi di Corte Trifoglio (km 6,350), trovando poi l’uscita al km 7,500. Prendere a sinistra fino ad arrivare al Parco Bertone (km 8,750). Percorrere la Strada Bertone fino ad entrare in Corte Fabbrica (km 9,680).
Nel tragitto che riporta verso Goito, troviamo nell’ordine: Corte Pallone (km 10,680), Strada Marsiletti (km 11,680). Svoltare a sinistra fino ad arrivare alla Meridiana di Maioli (km 12,180). Qui si può indifferentemente:
a) girare a destra e percorrere Via Bava fino a Via Divisione Acqui (sulla sinistra) ed arrivare al Ponte della Gloria;
b) avanzare fino all’edicola votiva dedicata alla Madonna della Salute (km 12,580). Uscire in Via Divisione Acqui (km 13,280), superare Corte Barattere (km 13,580) e giungere infine al Ponte della Gloria (km 14).
Itinerario n. 4 (verde)
Naviglio – Corte Bardellona (km 22,100)
Partenza da Via Divisione Acqui, strada parallela al Naviglio (km 0,000).
Andare diritto fino a Corte Barattere costeggiando il Naviglio (km 0,400).
Svoltare poi a sinistra in Via Mincio, fino ad arrivare sulla S.S. Goitese nei pressi di località Belgiardino (km 0,800) (a sinistra si torna verso il centro).
Attraversare la strada ed entrare in Viale Risorgimento, posto a sinistra. Avanti, girare per Via Partigiani, fino a Via Leon Battista Alberti, andare a destra, poi ancora dritto fino a Strada Cà 18 (km 1,200).
Prendere a sinistra, qui ci sono due possibilità.
Itinerario principale
Andare fino allo stop su Strada Marengo (km 2,050).
Andare a destra fino ad incontrare, sempre sulla destra, Strada Pioppette (km 3,470), Corte Pasquetta (km 3,880), Corte Pasqua (km 4,260) (a sinistra), poi Corte Pasquetta Nuova (km 4,730), Corte Gorno (km 4,760), Pioppeto (km 4,910). A sinistra c’è un sentiero che porta verso Corte Cà Nova Cavriani (km 5,260). Subito dopo c’è l’ingresso per Corte Vigneto Nuovo (km 5,560). Superare l’edificio e percorrere il sentiero parallelo alla Goitese fino ad arrivare all’uscita sulla Statale stessa. Attraversare ed entrare in Corte Cà Cavriani (km 5,960). Seguire questa carrareccia, fino a d incontrare una curva (km 6,660).
Avanzare fino a Corte Cà Bosco (km 6,960). Ritornare poi, tramite un sentiero erboso rettilineo, alla S.S. Goitese (km 7,160). Attraversare, di fronte c’è uno stradello, andare diritto e poi a sinistra fino a Corte Vigneto Vecchio (km 7,550). Si prosegue sul sentiero; dopo alcune centinaia di metri girare a destra (km 7,800). Sullo sfondo si vede Corte Fabbrica Cavriani che si raggiunge al km 8,430. È possibile entrare nella Corte stessa, o aggirarla a sinistra (km 8,630). Tenere la sinistra fino ad un bivio (km 9,030). Andare dritto, passare in mezzo alle abitazioni ed uscire su Strada Pioppette (a circa 400 metri). Girare a destra e percorrere un lungo sentiero fino a Corte Quaresima Nuova (km 9,530) e di seguito Corte Quaresima Vecchia (km 9,830). Uscita su Strada Marengo (km 10,430). Prendere la strada stessa a sinistra trovando a destra la stradina che porta a Corte Villabona (km 10,980) ed infine l’incrocio con Strada Pioppette (km 11,130) e Croce del Gallo (km 11,230).
Avanzare fino ad uno stradello sulla destra (km 11,780). Dopo 150 metri si trova Corte Villabona (km 11,930). (Da qui si può tornare sulla Postumia dal viale alberato, circa 450 metri). Ritornare su Strada Massimbona, andare verso destra fino ad arrivare al borgo (km 13,990), poi si vedono la Chiesa di San Pietro in Vincoli e il Mulino (km 14,090). Si supera Massimbona, sulla destra, trovando Corte Ponte (km 14,690), dopo una breve salita il Ponte sul Mincio (km 15,160), svoltare a sinistra subito dopo di esso (km 15,200). Da qui si percorre una strada ciclabile asfaltata (Ciclabile Mantova-Peschiera), in direzione di Pozzolo. Al km 17,200 si trova un ponticello, quindi l’uscita è in corrispondenza del Ponte sul Mincio (km 18,500). Per tornare a Goito si deve andare a sinistra, trovando la frazione di Ferri al km 20,200, Falzoni al km 21,200, fino a rientrare in territorio goitese con Corte Bardellona (km 22,100).
Qui naturalmente è possibile il collegamento all’Itinerario rosso.